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dalla redazioneNel gabbione dell'incomunicabilità - III : Uomini e cani
30/12/2005

 

In un suo libro, Konrad Lorenz narrava un caratteristico episodio.

 

Nella quotidiana passeggiata per portare a spasso il suo cane, passava sempre di fianco ad un giardino recinto da una cancellata, al cui interno stava un altro cane. I due animali ogni volta inscenavano un rituale che nella descrizione dell’autore aveva persino qualcosa di avvilente: prendevano a correre avanti e indietro lungo la cancellata, divisi da essa, latrandosi contro con furia esasperata, per tutto il tratto, fino a quando il cane libero si staccava per seguire il suo padrone, dove l’altro, apparentemente disperato, non poteva seguirlo.  Ma un giorno... 

 

 

 


 ... una parte della cancellata era stata rimossa per manutenzione  e i due cani ebbero la sorpresa di trovarsi improvvisamente muso a muso senza diaframma. Era da aspettarsi una zuffa furibonda! Invece, subito la loro aggressività cadde e i terribili latrati cessarono. I due cani si quietarono e tornarono a rifugiarsi dietro il riparo.

 

Lorenz, nel suo interesse specifico, ne sviluppava considerazioni circa l’effetto-distanza costituito dalla cancellata; cioè la cancellata sostituisce una distanza nello spazio. Spiegava che il senso del  pericolo, che condiziona il comportamento, è in relazione alla distanza: gli animali hanno comportamenti minacciosi  soltanto a una distanza media; il loro comportamento cambia a distanza maggiore o minore.

 

Conoscerete certo il nome del premio Nobel K. Lorenz, viennese, se non altro per i suoi famosi studi sull’”imprinting” con le anatre. Fu il fondatore di una nuova forma di sapere, detta etologia, che si occupa del comportamento degli animali per raffrontarlo a quello istintivo dell’uomo. In tali ricerche sono emerse impressionanti analogie tra animali ed esseri umani.

 

Dunque esiste una base scientifica a sensazioni che tutti abbiamo. 

 

Anche gli animali umani che vediamo seduti senza barriere, in altri Paesi europei, a pochi metri dal campo dove si sta svolgendo il gioco, sono trattenuti proprio dalla breve distanza e dalla mancanza di una separazione fisica.

 

Quei capannelli che nel parterre dei nostri campi si spostano seguendo il guardalinee per insultarlo (l'abbiamo visto tante volte) sarebbero impensabili se non ci fosse il riparo di una barriera (che non protegge solo il guardalinee).

 

Ma si possono fare ulteriori considerazioni.

 

Se guardo i tifosi teramani chiusi nel gabbione dell’incomunicabilità, li vedo lontani e pertanto diversi. Il senso di lontananza prodotto dalla barriera diventa anche un fattore di opposizione. Abbiamo tutti, nascosto dentro di noi, l’istinto di contrastare chi è diverso. Il primo impulso che sorge in noi ce li disegna non ospiti, ma nemici.

 

Certo, direte, in effetti sono nemici, cioè sono i nostri avversari nella gara.

 

E qui si torna all’inevitabile capolinea di ogni ragionamento sullo sport agonistico di gruppo. Qui si fondono i due estremi dell’antagonismo sportivo: l’opposizione e la fratellanza.

 

Dunque, la conclusione è evidente: è un problema educativo.

 

 

Vittorio Riccadonna

 



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"Nel gabbione dell'incomunicabilità - III : Uomini e cani" | 1 commento
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Re: Nel gabbione dell'incomunicabilità - III : Uomini e cani
di Abbadie56 il 30/12/2005 19.09

Interessante la tua riflessione. Ma, secondo il mio modesto parere, c'è da tenere conto anche del degrado sociale degli ultimi decenni. Tu puoi testimoniare che negli anni '50 e '60 il clima negli stadi era molto più civile di quanto non sia adesso. Si andava in trasferta e non accadeva nulla, salvo zuffe episodiche tra chi amava menar le mani. Oggi si viene aggrediti e picchiati a tradimento da gruppi di teppisti che si fanno forti del numero: in tanti contro uno. E questo è un segno di tempi bui. Se poi andiamo ancora più indietro, ai tempi di Spensley, addirittura c'era l'usanza, che Spensley stesso predicava al Genoa, di parlare di "avversari" e non di "nemici", e in campo vigeva una regola cavalleresca di cui oggi non c'è neppure più il ricordo. C'è qualcuno che educa i giocatori e i tifosi al rispetto dell'avversario? Senza rispetto per l'avversario, non può esserci sport. Concludendo: non sottovaluto, ovviamente, le osservazioni di un premio Nobel, e le tue riflessioni che ti fanno onore, anche per il modo come le hai espresse, ma bisogna anche tener conto dell'ideologia di violenza che vige in molti frequentatori di stadi, espressione di una società civilmente molto degradata.





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