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dalla redazioneStoria del portiere * * IV : C'era l'area di porta
08/08/2006

 

Ritorniamo ora col pensiero ai tempi antichi, quando in Inghilterra si codificavano i principi del gioco del calcio.

 

Abbiamo detto del principio basilare che tutti, ad ogni momento, hanno diritto di competere per il possesso del pallone, mentre esso è "in gioco".

 

 


Ma con quali mezzi? Con mezzi sia pure violenti, ma sempre leali. Questo secondo criterio base è profondamente radicato nella cultura inglese, permeando quell'attività sportiva che è anche una forma di preparazione alla vita sociale e, perché no?, ad una certa loro forma di imperialismo.

 

Dunque, chi ha la palla è soggetto a subire carica, purché leale.

 

Che significa leale? Significa non proditoria; cioè la carica deve essere prevedibile dall'uomo che viene attaccato.

 

Quindi: chi ha la palla deve guardarsi, sa che può venire attaccato duramente; ma chi non ha la palla non può venire attaccato, non se lo aspetterebbe, in quel momento guarda ad altro: quindi non sarebbe una carica leale.

 

Questo  principio, che ha corrispondenza profonda con lo spirito inglese, regnava già  prima della separazione tra calcio e rugby ; ma pienamente sopravvive oggi solo nel rugby.

 

Quando il portiere, una volta, saltava per intercettare la palla, sapeva che appena l'avrebbe afferrata (o anche prima) sarebbe stato spinto indietro dall'avversario più vicino; pertanto usava i pugni e respingeva la palla senza trattenerla. Ecco che  la carica al portiere che tratteneva la palla era "leale", cioè prevedibile. Se fosse stato buttato in porta col pallone egli sapeva che nessuno si sarebbe sognato di negare il gol. In queste circostanze, la carica frontale, petto contro petto, era la carica leale per eccellenza.

 

Ma il concetto di lealtà è un concetto sociale e cambia di paese in paese e col tempo.

 

Nei "colleges" inglesi la pratica sportiva era pensata più come scuola di vita; il calcio importato nelle scuole europee e italiane era pensato come pratica ginnica. Per quanto le variabili regole scritte cercassero di aderire ad un concetto comune, l'applicazione per molti anni tendeva a divergere.  Ancora verso la metà del XX secolo vedevamo in Inghilterra porte segnate spingendovi dentro il portiere insieme col pallone; per cui era tassativa, per i portieri inglesi, la respinta di pugno in vicinanza di avversari.

 

Poi man mano, con l'internazionalizzazione dei tornei di club, anche il mondo albionico si allineò alla visione europea, più riguardosa del portiere.

 

Intanto sul regolamento si precisava ora che la carica deve essere "leale, cioè spalla contro spalla..." . Dunque nella lettera non era più valida la carica petto a petto, ancorché si potesse considerare leale. La carica spalla a spalla si può fare fianco a fianco o anche frontalmente in un tackle, ma questo diventa difficile nei confronti di un portiere.

 

Era anche precisata la proibizione di ogni carica contro un portiere che si trovasse  all'interno dell'area di porta e non si fosse ancora impossessato della palla (salvo che ostacolasse un attaccante). Il portiere invece non aveva privilegi quando si  trovava fuori area di porta oppure quando aveva la palla in mano.

 

In altre parole: un attaccante salta verso il pallone e in questo viene a contatto col portiere: come giudicare? Se l'iniziativa del contatto è dell'attaccante e il portiere non ha ancora la palla in mano e si trova in area si porta, è fallo a favore del portiere. (In tutti gli altri casi è lecito).

 

Questa è stata l'unica funzione dell'area di porta a palla in gioco. L'area di porta, di creazione meno antica dell'area di rigore, è il rettangolo più piccolo (20 yarde per 6) all'interno dell'area di rigore. Fu introdotta posteriormente all'area di rigore e non ebbe sempre la forma attuale. Prima della sua creazione, le rimesse dal fondo (originariamente battute, in generale, da fuori campo), venivano già effettuate da dentro il campo dalla medesima odierna distanza delle 6 yarde (5 metri e mezzo) dalla linea di porta.

 

Ma, cari amici, stiamo già parlando di cose del passato.

 

Tutto questo oggi è sparito, cancellato dalle recenti rivoluzioni al regolamento. L'area di porta non ha più alcuna funzione se non per le riprese del gioco a palla ferma. Il concetto di carica al portiere non esiste più nel regolamento. Non esiste più neppure il concetto di carica leale, e neppure si trova oramai scritto di carica da fare di spalla. Se leggete il regolamento attuale, trovate solo questa definizione che si collega al precedente concetto di carica irregolare: e notate che ora ne consegue un calcio di punizione diretto!:

"Contrastare un avversario per il possesso del pallone, venendo in contatto con lui prima di raggiungere il pallone per giocarlo".

 

Il portiere è dunque assolutamente equiparato agli altri giocatori, per tutto quanto riguarda le cariche.

 

E' una cambiamento forse non ancora del tutto compreso. Sa persino un po' di regola inapplicabile. Pensate: un semplice contatto tra due avversari è fallo se non viene toccata la palla e può provocare calcio di rigore! In pratica quello che era il fallo di carica al portiere entro l'area di porta viene estesa a tutti i giocatori a tutto campo, con l'aggravio della qualità (punizione di prima).

 

Io credo che queste regole estreme e persino assurde finiscono per aggravare il problema dell'uniformità di arbitraggio. Un arbitro non potrà mai fischiare tutti questi contatti, ma qualunque di questi fischiasse avrebbe ragione.

 

Ma a pro del portiere rimane ancora quella norma protettiva, apparsa negli anni '70 del secolo scorso, di cui abbiamo detto nello scritto precedente: "vietato ostacolare il portiere nell'atto di liberarsi il pallone che ha tra le mani".

 

A volte vediamo addirittura il portiere fermarsi nella rincorsa per il rilancio e richiamare l'attenzione dell'arbitro, se appena un attaccante gli si avvicina!

 

Con questa attenzione si prolunga ulteriormente il momento di "palla non in gioco" quando essa si trova in mano del portiere, mentre in compenso si vuole eliminare una possibilità di ostacolo al rapido svolgimento del gioco.

 

Si completa così questo ribaltamento: viene sospeso il principio della  palla in gioco, in favore dello svolgimento rapido dell'azione.

 

Alla luce di questo orientamento risulta particolarmente grave la tolleranza verso ogni ritardo tattico della squadra che subisce un calcio di punizione: andare sul pallone, respingerlo, trattenerlo, ecc.; comportamenti questi comunque scorretti in se stessi.

 

Ma oggi assistiamo a momenti in cui entrambi i due principi (palla in gioco e rapido svolgimento del gioco) vengono contemporaneamente violati. Questo capita quando un giocatore, dopo che la palla è stata calciata fuori da un avversario che aveva un compagno a terra, nell'effettuare la rimessa in gioco calcia lungo in direzione della difesa opposta per restituire ad essa il possesso del pallone. Abbiamo infatti, in questo momento, tanto una fase di palla non "viva", cioè non disputata tra le squadre, quanto un noioso rallentamento dell'azione di gioco. Inoltre viene violato un terzo principio sacro: quello della volontà di vittoria (che dà senso alla partita), che vuole sia cosa scorretta  agevolare di proposito la squadra avversaria.

 

Trovo poi particolarmente odiosa l'abitudine che hanno spesso gli arbitri i quali, lungi dal considerare irregolare il comportamento sopra indicato, addirittura si rivolgono ad un giocatore per "suggerirgli" di adottarlo, quando, in una rimessa in gioco dopo averlo interrotto per un giocatore infortunato, lasciano cadere la palla a terra, che per regolamento è giocabile, cioè disputabile, appena tocca il terreno. In tale frangente, oltre al disprezzo per i tre aspetti dello spirito del gioco sopra citati, vediamo anche una specie di abuso di autorità.

 

Ci troviamo, dunque, di fronte ad una somma di contraddizioni sul piano del rispetto dell'originario e attuale spirito del gioco.

 

Il Rugby ha conservato, invece, la sua "purezza" sportiva originale, non ha patito una simile serie di accomodamenti e di compromessi, tale da alterare i propri principi etici. Penso che da ciascuno sia percettibile una differenza "spirituale" sul piano dell'etica del gioco tra questi due sport fratelli: rispetto al calcio, il Rugby sembra sport più "autentico".

 

Come si sa, nel gran gioco della palla ovale non esiste un portiere: tutti e 15 i giocatori della squadra sono uguali di fronte al regolamento. 

 

Questa digressione tutta  personale conclude la mia piccola esposizione della storia del portiere e dei problemi regolamentari e interpretativi che questa figura ha  comportato. 

 

Vittorio Riccadonna

 



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"Storia del portiere * * IV : C'era l'area di porta" | 1 commento
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Re: Storia del portiere * * IV : C'era l'area di porta
di voce-sommessa il 21/08/2006 16.41

Molto interessante, e anche molto ben raccontata, questa "Storia" nella sua parte finale tocca due punti veramente spinosi.
Le "nuove regole" sul "contatto" non hanno tanto aumentato la discrezionalità dell'arbitro (che c'è sempre stata) quanto ampliato in modo patologico la difformità nelle decisioni (perfino dello stesso arbitro nella stessa partita) posto che la norma è praticamente impossibile da applicare in modo sistematico.
A questo si aggiunge la tolleranza, veramente contraria allo spirito del gioco, verso comportamenti di "autosospensione" dell'azione da parte dei giocatori in occasione di infortuni (ma più spesso di sleali sceneggiate) che dovrebbero essere invece gestiti dall'arbitro con la sanzione opportuna o con la rimessa in gioco della palla senza alcuna deroga alla sua contendibilità.





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