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l'opinione''Genoa-Juventus ieri e domani'' di voce sommessa
29/11/2006

 

Nel cielo del calcio italiano l’astro del Genoa cominciava a declinare quando all’orizzonte una nuova stella si levava, con la sua fredda e brillante luce.

 

L’Italia era ormai nel pieno del “secolo breve”, dopo la caduta di molte generose illusioni e l’avvento di miti di cartapesta utilizzati per traghettare senza pagare dazio una società contadina verso la modernità.

Quella modernità in cui già da tempo si trovavano Genova e Torino, città per certi aspetti diversissime e per altri simili, la  condizione migliore per non amarsi.

Città orgogliose della loro società civile, politicamente evoluta molto oltre la cerchia ristretta delle classi dirigenti, orgogliose del loro successo industriale, per entrambe favorito da una guerra sciagurata.

 


Il 1924 fu l’anno dell’ultimo titolo italiano del Genoa; fu anche l’anno delle leggi speciali e dell’uccisione della democrazia, che la bara di Giacomo Matteotti rese plasticamente visibile.

La Juventus si presentò al Ferraris il 2 dicembre 1923, perse due a zero e pareggiò uno a uno il 3 marzo 1924 a Torino, ad un mese da quelle che sarebbero state le ultime elezioni per più di vent’anni.

La vittoria del “listone” di Mussolini però al nord-ovest non ci fu: Genova e Torino gli votarono decisamente contro, e poi fu il silenzio.

 

Non per il calcio, che andò avanti e rappresentò molto per il regime, fino alla doppia vittoria mondiale.

Le sfide fra Genoa e Juventus andarono avanti anch’esse, ma la bilancia cominciò a pendere da una parte.

Genova, stretta fra il “mare senza pesci” e i “monti senza legno”, viveva la transizione dalla proprietà privata a quella pubblica di un’industria soffocata negli angusti confini nazionali in un mondo allora protezionista, mentre Torino respirava l’aria del successo di una Fiat priva di concorrenti temibili in un mercato emergente.

Il Senatore Giovanni Agnelli una volta al mese scendeva a Roma per conferire col Capo del Governo, e la Juventus diventava la fidanzata d’Italia, cominciando col titolo italiano del 1926 vinto dopo aver battuto in semifinale Nord quel Bologna così aiutato l’anno precedente ai danni del Genoa.

.

 

I diversi destini delle due città hanno segnato da allora anche Genoa e Juventus, con qualche raro successo rossoblù in una costante supremazia bianconera.

Ora la sfida si rinnova in uno scenario inaspettato, la serie B, e il Ferraris si annuncia al completo.

Sarà la cornice viva e appassionata di uno spettacolo fantasma, di una partita che mai avrebbe dovuto essere giocata.

Nessuna delle due squadre infatti merita la B, e se le regole fossero state rispettate nessuna vi giocherebbe.

Ma nessuna vi giocherebbe neppure se le regole fossero state violate allo stesso modo per entrambe.

 

Così questo Genoa-Juventus, che si ripresenta esattamente dopo ottantatre anni di sofferenza da una parte e di esaltazione dall’altra, segna la sconfitta di chi aveva promesso “pulizia nel calcio” e perciò conferma con forza la necessità di non dimenticare il calcio se si vuole fare qualcosa per rendere almeno un poco più giusta e presentabile questa nostra sgangherata Italia.

 

voce sommessa

 



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