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dalla redazioneFerraris e Vincenzi
16/11/2009

 

Lo studio di fattibilità della ristrutturazione del Ferraris ha messo subito in crisi chi fondava le sue strategie sul falso presupposto che l’impianto fosse irrecuperabile.

Ora il cerino è rimasto in mano al proprietario, quel Comune di Genova che ha lasciato lievitare ipotesi come quelle di un nuovo stadio a Sestri o di un nuovo stadio a Campi.

A Sestri in realtà si trattava di una consistente speculazione immobiliare soggetta a pesanti controindicazioni, in cui lo stadio era poco di più di un pretesto.

A Campi l’idea proposta non  ha mai superato la consistenza di una provocazione.

 

 


Viene da farsi la domanda: perché l’Amministrazione ha affrontato in questo modo il problema, reale, del calcio a Genova?

Una risposta potrebbe essere che per Genova è arrivata l’ora di uscire dal calcio, risposta che al di là di tutto rappresenterebbe una scelta politica di spessore nazionale se non europeo, in ogni caso fuori dalla portata di questi amministratori.

Sembra più plausibile interpretare le ultime mosse del Sindaco e del suo Assessore come un passo di minuetto in una (poco) galante schermaglia commerciale, o meglio come un procedere in perfetto stile suk verso una transazione nella quale spuntare per il Ferraris il prezzo più alto possibile.

Infatti, cancellato Sestri, resta sul tavolo l’esorbitante investimento di Campi e come unica alternativa questa ristrutturazione la cui fattibilità era sempre stata ben intuibile, al di là delle manfrine di facciata.

 

Ma qui si innesta un altro tema, più politico e con notevoli implicazioni economiche e sociali.

 

Mentre si discute di sicurezza, mentre il governo tende (per esempio con la “tessera del tifoso”) a ridurre ancora di più l’affluenza negli stadi, mentre gli ultras sfilano “contro” aggiungendo timori a timori, per il Ferraris arriva al pettine il nodo dell’equilibrio della gestione che poi è il vero scoglio su cui può naufragare tutto il discorso fra le società e il Comune.

Comune che sembra chiamarsi fuori come se non avesse nessun interesse diretto, e invece ce l’ha, eccome.

 

A Genova per 38 domeniche all’anno, più gli eventuali appuntamenti europei e di contorno, il calcio potrebbe portare una media di qualche migliaio di ospiti “della città”, alla sola condizione che (lo stadio) gli stadi si riaprano alla gente, alle famiglie, ai gruppi estemporanei di amici in modo che “la partita” sia l’occasione per un evento non solo sportivo ma anche per vari aspetti sociale.

 

Si tratta di un potenziale notevole a livello nazionale, che sposta radicalmente l’approccio al dilemma circa la proprietà pubblica o privata degli stadi, che possono diventare il motore di un complesso gioco dove ci sono guadagni per tutti.

 

Certo per arrivarci servono una capacità di definizione dei problemi, una volontà politica per affrontarli, una diversa onestà intellettuale da parte dei protagonisti, una capacità di dialogo fra i vari soggetti poco compatibili con lo stato in cui versa l’Italia di questi anni.

 

Maurizio Pezzolo

 

 



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