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dalla redazioneLe mura sbreccate
19/09/2010

 

Da tempo assistiamo ad una specie di sovvertimento intorno al nostro mondo del calcio. Le onde ci scavallano occultandoci la riva. Criteri di logica sportiva, una volta inviolabili, pare non abbiano più valore, ma anzi vengono vilipesi, abbattuti.

 

 


Se un giocatore iniziava un torneo in una squadra, non poteva più, a torneo in corso, passare ad un’altra, per poi trovarsi in campo contro la medesima in cui aveva già giocato in quello stesso campionato. Sembra un fatto naturale, logico, connaturale al concetto sportivo: deve essere così. Macché: vale ancora soltanto per le coppe europee: nei nostri campionati, massima libertà! Soltanto noi spettatori abbiamo senso di uno sbrago nel campo dell’ideale.

 

Ma questo era soltanto un esempio, ciascuno può ricercarne molti altri con le proprie conoscenze.

 

Sembra che i desideri dei sostenitori del calcio siano in collisione con la volontà dei dirigenti di società e di federazioni, che sono poi la stessa cosa.

 

Sostituzioni, numeri fino al 99, formazioni turbinanti: tutto questo ai sostenitori non professionisti non cimbra; era più bello, almeno cosí penso io, il calcio senza sostituzioni e col capitano che aveva potere in campo (ora sostituiscono anche lui, dalla panchina; onoro la memoria di Scoglio, che diceva che il capitano non si sostituisce mai).

 

Ora stanno attaccando un altro principio capisaldo: il contratto.

 

Quando due parti fanno un contratto, è evidente che dovrebbero, in una certa intenzione, considerarlo come un impegno, non una mero passo burocratico necessario. Ma se un giocatore firma un contratto, mettiamo, per quattro anni con una società, che è il periodo massimo consentito, quando si avvicinano i due o tre anni di permanenza, ecco che si comincia a dire da parte della società, ma anche da tutto il battage dei giornalisti e della tifoseria (anche i tifosi si preoccupano...), secondo le intenzioni: bisogna venderlo altrimenti ... e qui appare lo spettro del parametro zero cosiddetto. Cosí, il contratto decade, è come se non esistesse l’impegno che rappresenta. Conoscete la fraseologia: non possiamo trattenerlo, ha diritto di fare la sua carriera (frase già detta da Fossati quando vendette Maselli al Bologna), di fronte a una tale offerta non si può rifiutare, eccetera.

 

Va bene. Tutto è capitale, i soldi comandano.

 

Ma no: non va ancora bene.

 

Adesso vogliono che un giocatore che ha firmato per una squadra, e pertanto ha inteso dedicare alcuni anni dei suoi a un determinato conjunto calcistico, nel corso del suo impegno possa venir dirottato ad un’altra diversa società, anche contro i suoi desideri.

 

Le società A e B si metterebbero d’accordo e il giocatore che si è impegnato per A  si troverebbe a far parte di B, senza suo assenso.

 

Non soltanto più un mercenario: diventa merce.

 

Più alto è l’ingaggio, più diventa merce. L’ingaggio alto fa da giustificazione.

 

Non voglio dire cose esagerate, ma qualcosa in me prova ripugnanza. Siano pure  mercenari, ma pur sempre in coesione, nel loro “lavoro”.

 

Spero che l’associazione calciatori tenga duro. Una volta tanto facciamo che i princípi prevalgano.

 

 

 

Vittorio Riccadonna

 

 



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