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i quaderniIL CASO SARDI - SANTAMARIA (14)
24/12/2015

 

CONSIDERAZIONI FINALI (segue)

“Limitiamo – sosteneva – il prezzo d’ingresso di quei clubs che non si peritano di far sborsare 5 lire per le tribune e 2 lire per i posti popolari e così otterremo un duplice scopo: di evitare degli avanzi di cassa che possono essere impiegati per spese non del tutto necessarie, e di contribuire vieppiù alla popolarizzazione del giuoco del calcio”.

 

 

 


Il giornale riconosceva che il concetto informatore di Umberto Meazza non appariva affatto errato, anche perché tendeva ad una perequazione, almeno approssimativa, dell’accesso ai vari campi.

 

“E’ infatti strano – veniva rimarcato – che il posto popolare abbia uno squilibrio sensibile di svalutazione a seconda che si tratti di Vercelli o di Genova, di Casale o di Milano, e che si concreti nella cifra alquanto saltuaria di 40 o 50 centesimi o addirittura di 1 lira e 50 o di 2 lire! Ad incassi limitati, dovranno corrispondere forzosamente spese limitate; ed è appunto su questo concetto che si fonda l’intima convinzione di Meazza: che il prezzo del biglietto d’ingresso influisca direttamente sulla dibattuta questione del professionismo. (…) Volentieri abbiamo reso di pubblica ragione quel progetto che l’ottimo Umberto Meazza ritiene quale sicuro antidoto contro il professionismo.

 

 D’altra parte non è chi non riconosca l’opportunità che le finanze dei vari clubs abbiano a conciliarsi con quelle del pubblico che si reca ad un match di foot-ball convinto di assistere non già ad uno spettacolo ma ad una delle più belle e salutari discipline sportive”

 

L’ esito del processo, soprattutto per le ammissioni di responsabilità da parte del Genoa, fu invece accolto, diversamente dalla maggioranza della stampa, con aspre parole di critica, non disgiunta dalla retorica tanto usuale all’epoca, da Raimondo Astillero che, forse per l’essersi così decisamente esposto in favore del club rossoblu, quasi si fosse sentito tradito dalle ammissioni di Pasteur, sul già ricordato Il Calcio del 20 luglio, rivolgendo “Una franca parola ai genoani”, argomentava:

 

Nello scorso numero abbiamo accolto un articolo in difesa del Genoa Club ben lungi dall’immaginare che gli argomenti esposti, anziché fondarsi su criteri di giustizia come sembrava, si basassero su una menzogna. Tutto il sistema di difesa del Genoa Club è miseramente crollato, come un castello di carte eretto dalle mani inesperte di un bimbo. Questa è la verità e vano sarebbe il negarlo.

Troppo amare parole ci uscirebbero dalla penna se dovessimo sferzare coloro che tentarono di sorprendere la buona fede di quanti, per animo naturalmente incline a principi di equità, porsero attento orecchio alle difese del Genoa, e si fecero inconsciamente complici nella diffusione di una bugia, ritenendo invece di compiere un atto buono e giusto.

Ma non è l’ora di inveire vanamente. Coloro che sono colpevoli di questa imbrogliatura colossale, sono stati abbastanza puniti dall’assemblea dei delegati a Vercelli, i cui oratori non risparmiarono il proprio sdegno per quanto è avvenuto. Non è più ora di chiacchiere. E’ giunta l’ora dell’azione e noi l’additeremo al Genoa Club, in questo periodo penoso della sua vita sportiva, in passato tanto gloriosa.

Il signor Pasteur, la cui figura di perfetto gentiluomo ricordava ai delegati le prime battaglie di molti anni or sono dell’aristocratico club genoano, quando scendeva nobilmente in campo un manipolo di sportmen leali, il signor Pasteur ha ottenuto la clemenza dell’assemblea con una dichiarazione, per lui penosissima, di colpevolezza in faccia agli avversari, sostenendo che il Genoa Club - intendiamo interpretare la grande maggioranza dei suoi soci – era stato perfettamente all’oscuro delle riprovevoli macchinazioni di un socio, che nell’intento di accrescere la forza della prima squadra, aveva comperato dei giocatori, avviando per mal inteso amore della Società, il vecchio club dei rosso e bleu verso il disastro.

L’assemblea ha voluto credere alle dichiarazioni del Genoa, ed ha creduto specialmente perché queste dichiarazioni erano fatte dal signor Pasteur. Ma l’assemblea, dimostrandosi clemente verso chi aveva tanto errato, metteva nell’ordine del giorno una condizione alla sua generosità: la condizione che il Genoa Club non avesse più mai a ricadere in colpa (…)”

 

Per tornare alle situazioni circondate dall’ “alone del mistero”, è indubbio che la più intrigante resta quella lasciata in sospeso da un passo del famoso discorso di Pasteur, in cui sono contenute affermazioni di una certa gravità senza peraltro specificare nei confronti di chi dirette: "Vi sono degli uomini colpevoli che nulla hanno in comune col Consiglio Direttivo del Genoa, che non hanno mai rivestito cariche ufficiali, che non hanno mai avuto l'autorizzazione di azione nel male palese e manifesto, l'effimero bene della società. Sono stati degli impulsivi e degli isolati (...)".

Ora, dato che tutti gli elementi fecero individuare già allora in Geo Davidson colui che pensò di arruolare Sardi e Santamaria nelle fila genoane, trattò con i due e firmò gli assegni prova del misfatto, viene da chiedersi come Pasteur possa intendere riferirsi a lui quando parla di "uomini colpevoli che nulla hanno in comune col Consiglio Direttivo del Genoa, non hanno mai rivestito cariche ufficiali, che non hanno mai avuto autorizzazione ecc.". Se ne potrebbe perciò dedurre che si sia davvero trattato di una iniziativa personale di Davidson che agì all’oscuro del direttivo rossoblu, ma anche così fosse, sta allora farneticando Pasteur quando parla di uomini colpevoli che nulla hanno in comune o rivestito cariche ufficiali nel Genoa dal momento che Davidson viene pressoché unanimemente (anche se, come visto, erroneamente) indicato addirittura quale presidente del Genoa? In tal caso, di che autorizzazione avrebbe avuto bisogno Davidson essendo presidente? E comunque, anche se non rivestiva la massima carica, Geo Davidson ricopriva sicuramente un ruolo non secondario nell’organigramma del Genoa.

Non bastasse, avendo già appurato non doversi prendere per buona, tra le tante, pure la ricostruzione romanzata di Brera, che racconta addirittura di un Davidson costretto a rassegnare le dimissioni da presidente a causa del “pasticciaccio brutto”, ecco prospettarsi un altro rompicapo: dando per assodato che il personaggio bollato, anche se non nominato, con dure parole da Pasteur davanti a tutti i delegati, sia proprio Geo Davidson, vien da chiedersi come sia possibile che a distanza di neanche tre mesi da quella data fatidica lo stesso venga per davvero eletto presidente del Genoa malgrado su di lui gravi questa macchia. Si deve forse ritenere che, sull’esempio e la scorta emotiva suscitata dal perdono concesso al Genoa dall’assemblea vercellese in nome di quei principi e sentimenti sopra richiamati, pure il Consiglio Direttivo del sodalizio rossoblu si sia lasciato indurre a intingere la penna per scrivere un nuovo racconto deamicisiano, concedendo non solo il perdono al reprobo, reo in fondo di aver errato “per troppo amore verso il suo Club”, come più volte si lesse a proposito del suo comportamento, ma addirittura elevarlo alla massima carica?

Così argomentando, verrebbe da domandarsi come potè accogliere la nomina a presidente di Davidson,  chi (Astillero) al termine del processo, rivolgendo ai genoani quella “franca parola” di cui già detto, aveva anche scritto:

 

“Ora le dichiarazioni del signor Pasteur hanno impegnato il Genoa Club di fronte al mondo sportivo. Il Genoa Club – il più vecchio, il più ricco, il più nobile club italiano – ha dovuto chiedere grazia. L’ha chiesta e l’ha ottenuta, ma per cambiare strada, ma per risorgere più forte, più glorioso che mai dall’attuale rovina.

Il passato può e deve essere dimenticato. Ma è l’avvenire che deve cancellarlo. Il Genoa è ricco di energia. Chiamate a guidare il club dei rosso e bleu un Consiglio che sia composto esclusivamente di galantuomini, di veri sportmen. Allontanate chi per troppo amore vi ha condotto nelle condizioni attuali. Una nuova vita deve aprirsi ai rosso e bleu, perché il mondo sportivo dimentichi la tristezza dell’ora presente. (…)”

 

All’accorato appello, come rispondeva a breve distanza di tempo, il Genoa? Chiamando alla massima carica proprio colui che aveva determinato lo sconquasso, ne aveva quasi provocato la scomparsa, colui che agli occhi di tutti, rappresentava gli uomini - parole di Pasteur - “impulsivi ed isolati” che si erano resi colpevoli!

E chissà se e cosa pensarono, venuti a conoscenza della nomina di Davidson, i delegati protagonisti di quella assemblea di un luglio vercellese nella quale, pur non mettendo in votazione uno speciale ordine del giorno in tal senso proposto dal delegato avv. Sarteschi, vollero

 

“bollare con frasi roventi, anche senza nominarli esplicitamente, l’opera di alcuni soci del Club genoano, esprimendo chiaramente il pensiero di vedere liquidata la posizione di quelli cui risaliva specialmente la responsabilità dei casi Fresia, Sardi e Santamaria”. [1]

 

Fosse lecito azzardare un’ipotesi che, per quanto irriverente, potrebbe rispecchiare una situazione abbastanza realistica, Geo Davidson aveva già dato prova della propria munificenza in numerose circostanze e allora, considerato lo stato non proprio florido, già all'epoca, delle casse sociali, e gli ambiziosi propositi di riportare il club ai massimi livelli, ecco che potè ben essergli perdonata quella “fatale distrazione”.

 

Come si può constatare, abbastanza numerosi sono gli interrogativi ai quali non riesce dare esauriente o logica risposta. Eppure, in mezzo a tanti dubbi irrisolti, una certezza emerge. Una certezza certificata da una frase, tanto scarna nella sua semplicità quanto determinante nella sua rilevanza; riportata in quasi tutti i resoconti riferiti alla vicenda e pronunciata da chi l’ancor giovane calcio italiano aveva visto nascere e seguito nel suo evolversi e nel suo crescente successo e parlava dunque con cognizione di causa.

“il più vecchio dei clubs italiani”, questa è la frase. Che pone fine, caso mai avessero velleità di riproporsi, a certe istanze che vorrebbero mettere in dubbio questa primogenitura.       

  

                       


 

APPENDICE

 

 

Società presenti all’Assemblea di Vercelli del 13 luglio 1913 e loro rappresentanti

 

 

ALESSANDRIA: Giuseppe BREZZI

BOLOGNA: Alfonso VEZZATELLI

BRESCIA: Emilio BONOMI

CASALE: SIMONETTI

COMO: BAZZI

VENEZIA: CAPELLO

GINNASTICA GALLARATESE: Enea PEDRAGLIO

CIRCOLO EDUCATIVO SAULI: NECCHI

FIORENTE GENOVA: TERGOLINA

GENOA: Edoardo PASTEUR

LIGURIA: VERGA

ANDREA DORIA: Zaccaria OBERTI

CRISTOFORO COLOMBO: BORZINI

SPORTIVA TRIONFO LIGURE: Giuseppe GHIA

SUPERBA F.C.: BRECCIARELLI

U.S. GENOVESE: CASASSA

SPES: UBERTI

VIRTUS JUVENTUSQUE: CARRARA

MILAN: BELTRAMI

AUSONIA PRO GORLA: SCARIONI

RACING: COLOMBO

FIDES. MAURO

U. S. M. : BARALDI

UNITAS: ROSSI

MODENA F. C.: CASINI

NOVARA F. C.: SARTESCHI

GINNASTICA E SCHERMA: BELLONI

ITALIA F. C. RIVAROLO: TORAZZI

PODISTICA LAZIO: MAURO

FRATELLANZA SAVONA: CARLEVARINO

PRO SAVONA: Alfredo GUARINONI

STRESA SPORTIVA: FORLANO

JUVENTUS F. C.: MALVANO

MINERVA F. C.: DEROSSI

PIEMONTE F. C.: LOMBARDI

TORINO F. C.: Guido CASTOLDI

PRO VERCELLI: BOZINO

HELLAS di VERONA: BENAZZO

VICENZA: VALLOSELLA

FIESCHI F. C. di GENOVA: G. TUBINO

GINNASTICA RAFFAELE RUBATTINO: Molinari

BALZOLA F. C.: JAFFE

FORTI E VELOCI di GENOVA: Ernesto CHIORGI

CIRCOLO SAN LUIGI di GENOVA: Silvio LAVIOSA

F. C. ROMA: Luigi MILLO

INTERNAZIONALE F. C. MILANO: Ugo RIETMANN

NAZIONALE LOMBARDIA: Alessandro RIGOLIOSI

VIGOR F. C. TORINO: Umberto GIOVANARDI

VENEZIA F. C.: CAVALLINI

 

 

           

 



[1] Lo Sport del Popolo, 14 luglio



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