“Mario Pantaleoni: professione mezz’ala di spola” di Franco Venturelli
Data: 24/02/2005 20.01
Argomento: l'opinione


Mario Pantaleoni arrivò al Genoa per coprire il ruolo di mezzala, nel 1958 dall’Udinese.
Entrò subito nelle simpatie dei tifosi rossoblù, per il grande impegno che ha sempre contraddistinto le sue prestazioni.


 



A quei tempi, le mezze ali coprivano il campo da un’area all’altra ed erano chiamate per questo mezze ali di spola, secondo i canoni voluti dal “Sistema”, che si era affermato in Italia, subentrando al “Metodo”, nel corso degli anni ’40, per merito del grande Torino, ma che era stato introdotto per la prima volta nel nostro campionato proprio dal Genoa allenato da Barbieri, nel 1939.
Barbieri lo aveva imparato da Mr. Garbutt, il quale lo conosceva per averlo visto giocare in Inghilterra, dove era stato inventato verso la fine degli anni ’20 da Mr. Chapman, allenatore dell’Arsenal, per contrastare la strapotenza degli attacchi e soprattutto dei centravanti, che segnavano gol a ripetizione, dopo che la nuova regola del fuorigioco consentiva al centravanti stesso di essere considerato in posizione regolare con soli due giocatori, tra lui e la linea di porta, anziché tre come accadeva prima.
Mr. Chapman tolse al centromediano metodista i compiti di costruttore di gioco, lasciandogli solo quelli di marcatura, col preciso impegno di fermare il centravanti: di qui il nome di “stopper”, ancora in uso oggi.
Sopperì poi al mancato apporto al centrocampo del centromediano, non più metodista, chiedendo alle mezze ali di arretrare fino ai limiti della propria area di rigore, decretando così la nascita delle mezze ali di spola.
 
Pantaloni era la classica mezzala di spola.

Nel Genoa giocò quasi sempre a sinistra, ma indossò anche la maglia numero otto e in certe circostanze, per questioni tattiche o di opportunità, ha saputo adattarsi persino nel ruolo di ala. Per lui, giocare voleva dire essere sempre in movimento, pronto a farsi trovare libero per  appoggiare in triangolazione un attaccante, o a retrocedere per aiutare un difensore in difficoltà: e quando il portiere usciva era sempre il primo a portarsi sulla linea bianca per proteggere la porta incustodita.

In tutta la sua carriera nel Genoa, non gli ho mai visto fare un gesto inconsulto o prendere un atteggiamento fuori luogo. Generoso e combattente, era anche giocatore corretto e leale, che ha onorato la maglia rossoblù con un comportamento che rientra nelle nostre tradizioni da sempre.

Aveva visione di gioco e senso tattico. E se c’era da calciare a rete non si faceva pregare. Una volta, contro la Juve, colpì ben tre pali: ne ricordo ancora oggi, nitidamente, uno, colpito sotto la sud (palo lato distinti) con un bolide che schizzò fuori area fin quasi sulla linea laterale.

Segnò anche qualche tripletta: a Napoli, per un 4-1 trionfale e, se la memoria non mi inganna,  in un incontro casalingo con il Catania. 
Ma l’azione più bella, che ha commosso i tifosi, Pantaloni la fece quando il Genoa gli concesse la lista gratuita come tangibile riconoscimento per il suo grande attaccamento alla maglia.
A quei tempi, quando un giocatore passava da una squadra a un’altra, la società alla quale apparteneva aveva il diritto di chiedere una certa somma per autorizzare il trasferimento.
Con la lista gratuita, questo diritto - e quindi questo guadagno - veniva ceduto, come premio, al giocatore.
E Pantaleoni, che avrebbe potuto guadagnare gli ultimi soldi della sua carriera, invece cosa fece? Con una lettera, pubblicata anche da giornali nazionali (come la Gazzetta dello Sport), ringraziò la società per il riconoscimento e la informò, non senza commozione, che dopo aver indossato per sette indimenticabili anni la maglia rossoblù, nessun’altra maglia avrebbe potuto dargli gli stimoli giusti per continuare a giocare.
Appese così le scarpe al chiodo, come si diceva una volta, lasciando nei tifosi e nella squadra un grande vuoto.
Questo va detto anche per ricordare anche che quando si dice "gente da Genoa", non si fa un semplice esercizio di retorica.
 
Mario Pantaleoni è stato “uno da Genoa” per eccellenza e ancora adesso, quando ci penso e lo vedo correre nella sua posizione di mezzo sinistro, con i suoi capelli neri e la riga dritta, mai una parola fuori posto, sempre pronto ad aiutare il compagno in difficoltà, mi commuovo.
Il Genoa è anche questo.

* * *

Passa il tempo, e oggi, a quarant’anni di distanza, è cambiato quasi tutto, ma non la passione dei tifosi genoani che è rimasta miracolosamente intatta. Una prova? Eccola.

Lo scorso anno ho avuto occasione, grazie ai siti del Genoa su Internet, di conoscere Stefano, il primo dei tre figli di Pantaleoni, nato a Genova quando suo padre giocava nel Genoa.
Vive a Treviso. Lo scorso settembre ci siamo conosciuti di persona, durante una cena a Mira (presso Venezia), ospiti di un comune amico, Pasquale, e della moglie Filo, due avellinesi genoanissimi, trapiantati in veneto.

La serata è trascorsa veloce e piacevole, tra ricordi commoventi e discorsi sul presente, mentre guardavamo nel contempo i cimeli del padre portati da Stefano.
Abbiamo parlato sempre e solo di Genoa.

A un certo punto Stefano mi ha confessato che, nonostante viva lontano da Genova, tutti gli anni prende l’abbonamento del Genoa, anche se poi più di quattro o cinque partite a campionato non riesce mai a vedere, perché venire da Treviso a Genova non è semplice, specialmente per chi ha una famiglia da accudire.
“Ma mia moglie –ha precisato, sorridendo- sa che del Genoa non posso fare a meno”. E subito dopo, serio, ha aggiunto: “E quando il Genoa perde, la giornata, per me, è rovinata. E di conseguenza, anche per lei”.

Un attimo di silenzio, poi la conclusione: “Davvero, sai! Non so dire il perché, ma è così! E la stessa cosa vale anche per i miei fratelli e per mia sorella, che vive a Milano”.

Ci lasciammo al termine della serata con un grande abbraccio, come se ci fossimo conosciuti da sempre.

Poche settimane dopo, Stefano Pantaleoni con la figlia più giovane era con me nel parterre della Nord lato distinti, dove vado sempre in compagnia degli amici della Rametta di De Ferrari, a vedere Genoa-Pescara.
Era venuto appositamente da Treviso per assistere alla partita insieme a me.
Gli amici della Rametta lo hanno salutato con grande simpatia constatando, nello stesso tempo, come  Mario Pantaleoni, il cui ricordo è sempre vivo tra i tifosi rossoblù,  si sia davvero comportato da vero genoano,  trasmettendo ai figli  la passione per il Genoa.

Franco Venturelli







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