Il Dito e la Luna
Data: 13/05/2006 21.39
Argomento: dalla redazione


C'era un poster, appeso nell'ufficio di un mio collega negli anni '70, dove si vedeva in basso il dito indice di una mano e in alto una bella luna piena. Sotto al tutto c'era una scritta che diceva:

"quando il dito indica la luna, l'imbecille guarda il dito".

Mi è venuto in mente questo poster, in questi giorni tormentati del calcio italiano, ma con una scritta leggermente modificata (e meno offensiva):

"non si risolve nulla guardando il dito, bisognerebbe avere il coraggio di guardare la luna".

Cosa voglio dire con questo?

Devo fare una premessa, per disporre di dati. Procedo per sintesi.

 



1. Negli anni '60 il giornalista inglese Brian Glanville scrisse parole molto pesanti contro il calcio italiano, dicendo tra l'altro che le squadre italiane in Europa dovevano smetterla di comprare gli arbitri, perché questo comportamento era una truffa continuata nei confronti del pubblico che pagava  il biglietto.

Nessuno querelò Glanville, a dimostrazione che quello che aveva detto era tutto vero.

Ma nessuno prese provvedimenti.

2. Il giocatore brasiliano  Socrates, che aveva giocato nella Fiorentina, tornato in Italia per una partita amichevole contro i suoi ex compagni, in un'intervista chiese al giornalista di Tuttosport che lo intervistava per quale motivo  la stampa italiana  non informava i tifosi che le partite in Italia sono già decise prima ancora di entrare in campo.

Nessuna querela partì contro Socrates, quindi tutto vero quello che aveva detto.

Ma anche in questo caso, nessuno prese provvedimenti.

3. I giocatori del Camerun dopo il Mondiale dell' '82 in Spagna dichiararono che il pareggio Italia-Camerun era stato concordato "prima" di andare in campo. Una partita finta, quindi. Una truffa agli spettatori che avevano pagato il biglietto.

Oliviero Beha ne parlò su Repubblica. Nessuno querelò i giocatori del Camerun. In compenso Beha non scrisse più di calcio. Solo un caso?

Ma nessuno, come al solito, prese provvedimenti.

4. Ci sono poi le dichiarazioni di Zeman, che più volte ha fatto capire, anche ai tardi di comprendonio, che il calcio italiano è profondamente corrotto.

Ma nessuno aprì inchieste.. 

5. Come corollario, giusto per citare due di casa nostra, che ben conosciamo per la loro serietà,  Simoni e Perotti, dopo aver ingoiato per anni bocconi amari, si sono ritirati (a parte la parentesi Genoa per Perotti, inessenziale da questo punto di vista) rilasciando amare dichiarazioni, che facevano capire quanto fosse caduto in basso il mondo del calcio in Italia.

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Mi fermo qui, per ovvi motivi, ma credo di aver reso l'idea. 

La corruzione nel calcio italiano -questo tipo di corruzione emerso in questi giorni, non la "bustarella"  che è internazionale, ma la "cupola", che è tipica solo di certi Paesi-  è un vero e proprio "sistema".

Casi di corruzione sono presenti un po' ovunque, nel mondo, ma vengono perseguiti.

In Italia invece vige il regime dell'impunità e questo è criticabile non solo per questioni morali, ma anche e soprattutto perché  la coscienza dell'impunità elimina i freni. Si pensa che tutto sia possibile e questo porta inevitabilmente a far degenerare tutto.

Come infatti è avvenuto.

Chi pensa che la "punizione" sia un fatto di moralità, è fuori strada. La "punizione" è prima di tutto un fatto pratico: serve per impedire che le cose degenerino. Ha un effetto equilibratore.

Da noi invece, anziché punire chi commette atti illeciti, si punisce chi li denuncia, vedi Zeman (e non parlo di Preziosi, che, per aver contestato Carraro, si è visto retrocedere il Como in B dopo soli due mesi di campionato con arbitraggi scandalosi,  perché essendo io genoano, sarei  poco attendibile).

Inevitabile, dunque, che prima o poi il “calcio” in Italia dovesse degenerare.

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E il dito e la luna, che cosa c'entrano?

C'entrano, perché se si pensa di risanare il calcio italiano "semplicemente" cambiando tutti i dirigenti, temo proprio che faremo la fine di chi guarda il dito invece della luna.

Non basta guardare il dito. Bisogna guardare un po' (tanto) più in alto.

Questo è solo il mio parere, ovviamente, ma vorrei sapere che garanzie dovrebbero dare i nuovi dirigenti, se la mentalità dovesse restare quella di adesso.

Col tempo, inevitabilmente, credo, si tornerebbe a fare le stesse cose.

Se la mentalità continuerà ad essere quella del "conta solo il risultato", inevitabilmente ci sarà chi cercherà di fare il risultato usando qualsiasi mezzo e tutto ricomincerà daccapo.

Torneremo a vedere giocatori che si buttano in terra alla caccia di un fallo, guardialinee che giudicano in modi opposti lo stesso fuorigioco, arbitri che pilotano le partite e via dicendo.                                            

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Bisognerebbe far ritornare la passione per il calcio, che oggi in Italia è un'illustre sconosciuta.

Vengono contestate le squadre che perdono, ma nessuno contesta chi gioca male, se vince, perché l'interesse è tutto rivolto al risultato.

Il "gioco" e il saper giocare la palla, sono ormai considerati come  fatti esteriori, superficiali, inutili. Tristemente secondari, rispetto al risultato.

Come posso non ricordare, guardando in casa nostra, che un difensore della classe di Thiago, che attualmente è un punto di forza di una grande squadra come la Fluminense, che guida il campionato brasiliano, da noi, in serie B, veniva regolarmente mandato in panchina  o in tribuna perché cercava di giocare la palla, invece di buttarla via come facevano i difensori titolari?

Anni e anni di questa mentalità non si cancellano tanto facilmente.

La stampa potrebbe avere un ruolo in questo, se non fosse  che anche i giornalisti si sono adeguati alla logica del "risultato".

In questi ultimi anni, avendo io passato molto tempo all'estero, ho toccato con mano questa differenza di mentalità.

In Brasile, ho sentito allenatori, dopo una partita vinta giocando male, fare affermazioni del tipo:

"Abbiamo vinto ma non sono per nulla soddisfatto, perché in Brasile una squadra ha il dovere di vincere col gioco, Lo impone la nostra tradizione e lo chiede il pubblico".

Da noi invece sappiamo cosa dicono gli allenatori, in casi simili:
"Oggi contava solo vincere: non era certo questa la partita adatta per cercare il gioco", dimenticando che il gioco dovrebbe essere l'obiettivo del loro lavoro.

Dichiarazioni così, che rappresentano il biglietto da visita del nostro ambiente calcistico, sono la negazione del gioco del calcio, e dimostrano che abbiamo a che fare con addetti ai lavori che "usano" il calcio per ottenere lauti guadagni attraverso i risultati, ma non lo amano.

Se poi ci mettiamo anche una stampa che sempre più raramente parla di calcio, per dedicarsi a "cèti" di corridoio, come si può sperare che il calcio italiano cambi, cambiando i vertici?

                                  *

C'è un punto che nessuno vuole affrontare, e riguarda la convinzione profondamente radicata nel nostro bel Paese, che chi si comporti onestamente, sia scemo.

Fare i furbi, da noi, è il vero sport nazionale, che tutti si ritengono autorizzati a praticare, nell'ottica distorta del "conta solo il risultato". 

Questa sarebbe, secondo me, la "luna" da guardare. Carraro, Moggi & Co. sono solo il "dito".

Bisognerebbe ritornare a considerare il risultato come una "conseguenza" del gioco e non come un obiettivo da raggiungere "a qualsiasi costo".

In questo modo, i responsabili delle società di calcio tornerebbero a concentrarsi sul gioco, sui giocatori e sui vivai, che sono i veri protagonisti del gioco del calcio, invece che sul come corrompere gli arbitri o come costruire "cupole".

Questa sarebbe per me, l'unica strada credibile. A tutto il resto non credo.

Franco Venturelli

 







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