Antiretorico
Data: 12/02/2007 22.42
Argomento: dalla redazione


 

Personalmente sono appassionato di calcio e la cosa che mi interessa, quando vado allo stadio, è veder giocare, possibilmente bene, a pallone.


Non vado allo stadio per vedere famiglie e bambini. Per questo mi basta andare in Corso Italia nelle domeniche di sole. Ci sono famiglie e bambini in grande quantità. E per di più a gratis.


 



Questo parlare sempre di famiglie e bambini allo stadio, da parte di tutti, ministri compresi, mi fa pensare che del gioco del calcio, in Italia, ormai non interessi più niente a nessuno.
E' diventato solo un prestesto per tirare acqua al proprio mulino.
Quello della costruzione di nuovi stadi, per esempio. Un film già visto soltanto 17 anni fa.
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Se davvero il gioco del calcio interessasse, si parlerebbe di azioni di gioco, di tecnica e di tattica.
Come si faceva negli anni '50, quando le famiglie e i bambini, compreso il sottoscritto, andavano tranquillamente allo stadio, senza che la cosa fosse considerata un fatto eccezionale.
E per i bambini che non avevano un parente che li accompagnasse bastava mettersi all'entrata della Nord e prima o poi arrivava l'adulto che si prestava a fare da finto parente.
Quanti bambini sono diventati tifosi del Genoa in questo modo!!!

Ma a quei tempi c'era una vera -e non prestuosa- passione per il gioco del calcio.
Nessuno sperava che Sivori o Schiaffino fossero squalificati, per non veder perdere il Genoa contro Juve o Milan, perché il piacere di guardare giocare quei campioni, era superiore al dolore di una sconfitta.
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Oggi, invece, tutto si è immiserito sulla penosa ricerca del risultato a tutti i costi, come se il giocare bene non fosse già di per sé un risultato!!.
E cosa mai potrebbe nascere da questa mentalità meschina, se non gli spettacoli deteriori che accompagnano puntualmente le domeniche italiane?

Se ritornasse la passione per il gioco del calcio, forse gli stadi sarebbero di nuovo vivibili per tutti.
In mancanza di questo, invece. mi sembra fin troppo evidente che qualsiasi provvedimento non risolverà il problema.
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Il dramma del calcio italiano sono i morti ammazzati, su questo non ci piove.
La causa, però, secondo il mio modesto parere, non sta nella violenza, ma nella mancanza di passione per il gioco del calcio.

La violenza potrebbe essere solo la conseguenza di una mancanza di interessi veri.
In Italia -il fatto è incontestabile (basta leggere i giornali e vedere le tv)- di calcio non parla più nessuno.

All'estero le cose stanno un po' diversamente. Se è vero che anche lì ci sono problemi di violenza, è anche vero che c'è una diversa cultura calcistica, che valorizza la tecnica e il bel gioco, come si può constatare da giornali e tv.
E ci sono libri, sul gioco del calcio, come quelli scritti da Jorge Valdano, da Edoardo Galeano, da Paulo Mendes Campos, da Nelson Rodriguez (uno dei più grandi scrittori di Teatro brasiliano), ecc., che sono vere e proprie opere letterarie, e dalle quali emerge un'autentica e contagiosa passione per il gioco del calcio.
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In Italia non esiste nulla di tutto questo. I libri sul calcio (a parte le inchieste critiche, come quelle di Oliviero Beha) sono penose esibizioni di fanatismo, dedite ad esaltare questa o quella squadra.
Ma non è questo che conta!
E' il gioco che dovrebbe contare, non questa o quella squadra, che, casomai, ne è solo una conseguenza.

Ma questa, in Italia -dove l'arroganza del "possedere" la propria squadra ha sostituito la sensibilità dell' "amarla"- sembrerebbe essere una battaglia persa.
Chi di dovere, a quanto sembra, preferisce non affrontare il problema alla radice, trovando, invece, magari il tempo per gloriarsi di vittorie come quella del Mondiale -ottenute con un gioco inguardabile- o per progettare speculazioni in nuovi stadi, salvo poi fare bagni di inutile retorica, quando ci scappa il morto.

Franco Venturelli

 







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