Mestizia ed euforia
Data: 20/03/2007 22.53
Argomento: dalla redazione


Credo che in più d’uno si finisca per essere condizionati, e non poco, dall’esito della partita settimanale della nostra squadra del cuore.

Euforia quando si è vinto, un senso di contentezza, d’allegria, di voglia di fare, sembra che tutto il mondo ci sorrida e che tutto proceda per il verso giusto.

 



Non che si dimentica o, peggio, si trascura tutto il resto, eventuali problemi compresi, ma portati a casa i tre punti, inutile far finta di niente, c’è più carica e positivismo.

Molto diverso, invece, se e quando si perde.

Forse nessun dramma, ma, dai, sembra che il mondo ti sorrida meno, ti senti abbastanza giù, forse anche più irritabile sicuramente con meno voglia di ridere e di scherzare.

Non credo di esagerare né di cadere, più o meno involontariamente, nella caricatura di noi tifosi, si tratta semplicemente di provare a descrivere certe sensazioni sottili, quasi impercettibili ma che, almeno un poco, capita ci condizionino (non è vero Genoani, non è vero? potrei aggiungere parafrasando un famoso ligure).

Non consideriamo ovviamente i casi limite, certe situazioni esasperate che, a volte si sentono raccontare, e che voglio sperare siano anche un po’ esagerate, magari volutamente romanzate, se volete anche vanterie di quelle persone che, almeno di facciata, dichiarano che per loro il Genoa al di sopra di tutto, quelli che, tanto esemplificare, dopo una partita persa salterebbero pasto, litigherebbero con la moglie, sgriderebbero i figli, ecc., ecc., insomma quelli che poi diventano praticamente intrattabili.

Abbastanza frequenti, invece, sono le situazioni di “strumentalizzazione” del risultato.

Si è vinto? Ed allora dalli all’untore, individuato in coloro che criticano questo o quel giocatore (per ironia della sorta capita che sia il giocatore più bersagliato quello che, non di rado, risolve la partita, roba insomma da "sprofondare").

Il tifoso, il più delle volte senza malizia, è portato a considerare intelligente chi la pensa più o meno come lui, mentre degli altri si salvi chi può.

Quale migliore occasione di quando si vince per togliersi i famosi sassolini dalle scarpe ed allora giù con ironia, a volte anche con un po' di perfidia, così imparano a rompere!

Presi dal sacro fuoco, ed al massimo della goduria, a volte si rischia di sottovalurare che il bello del calcio è proprio l’altalena bizzarra e irriverente dei risultati.

Ecco allora quando, poi, le cose girano storte, che partono gli altri, ed anche lì ce n’è per tutti.

C’è chi si “accontenta di rifarsela con un giocatore, chi se la prende con il Mister o con il Direttore sportivo (da noi ora promosso Vice Presidente) e poi non mancano mai i “megalomani” senza ritegno che non risparmiano neppure sua “santità” (pardon il Prez.).

Ne consegue allora, periodicamente, che vada in onda lo “scontro” tra fazioni, quelli più o meno “contro” e gli altri che per età, indole, scelta e/o moderazione sono un po’più allineati e coperti, alcuni dei quali non disdegnano richiamarsi al “io sto con”.

A Torino, ricorderete, si è trasceso, e qui il discorso si fa, purtroppo, più serio.

Tra juventini non molto tempo fà sono, infatti, comparse addirittura le lame, ma li, con tutta probabilità, più che tra “pro” e/o “contro”, s’immagina siano sorte discussioni, non molto prosaiche, sulla “spartizione” di un qualche “malloppo”.

Personalmente dopo le vittorie mi accontento di godere di quel leggero senso di contentezza ed euforia di cui si diceva e rifuggo, per quanto possibile, dalle tentazioni di “infierire”, di riprendermela con tizio e/o caio, anche perché patisco abbastanza i frazionismi e le divisioni, anche se mi rendo conto quanto sia difficile il “frenarsi” e che, quando “ce vo ce vo” , non sarebbe di poco conto la soddisfazione di sfogarsi senza troppi freni (al riparo di un comodo “nick name”) e dirne quattro a quelli che si “reggono” di meno, anche se “colorati” come noi.

La sensazione poi è che “eccitino” un po’ di più le sconfitte, nel senso che provocano più reazioni, in molti di più sono portati a provare ad analizzare, a sviscerare ad individuare la ricetta giusta ed anche, senza tanti giri di parole, ad elencare la presunta "sequela" d’errori e di “colpe”.

Lo stereotipo classico, ma qui forse il riferimento è più societario, è l’allenatore che finisce sulla graticola, traballano se non sono travolte le panchine, ma a volte si richiamano anche allenatori già cacciati senza troppi riguardi.

Diciamolo, in conclusione, che il calcio vive davvero anche di un pizzico di più o meno sana follia, dove si rischia di perdersi o meglio in molti si perde la testa, tempo e denaro, ma, tant’è, il carrozzone del pallone nonostante tutto va avanti, almeno per ora, non lo ha fermato neppure Maggiopoli e tutto il marcio che ne è venuto fuori: che sia davvero immortale? 

Giancarlo Rabacchi







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