Gre-No-Li: io li vidi giocare
Data: 07/11/2007 01.03
Argomento: dalla redazione


 

Quante morti in due giorni.

 

Con Liedholm è scomparso l'ultimo superstite del famoso trio svedese.

 

Erano tre giocatori del tutto dissimili tra loro.

 

 



Significa, questo, che il trio Gren-Nordahl-Liedholm non era propriamente un "trio centrale d'attacco", come, ad esempio, il Balonceri-Libonatti-Rossetti, che avevano somiglianza nel palleggio e si scambiavano di posizione, oppure come il trio guidato da Sindelar nel Wunderteam austriaco, collegato da una specifica scuola calcistica. Erano, questi svedesi, tre mondi diversi che direi casualmente parlavano la stessa lingua.

 

Dei tre, Niels Liedholm era il meno brillante, nel senso che era il giocatore più "normale", con tutte le qualità che compongono il bravo giocatore di metà campo dotate in alto grado. Era elegante, preciso, ordinato. Anche col suo bel tiro liscio cercava la precisione. Era un cursore naturale, dalla falcata ampia, da mezzofondista, bella a vedersi. Agile, longilineo, poteva attingere risorse di resistenza dal proprio apparato toracico. Si giovava di una serena, nobile intelligenza calcistica sul piano della linearità. Il suo modo di superare l'avversario, negli anni della giovinezza, era "naturale", come tutto il suo gioco, e sfruttava più il passo che la finta.

 

(Liedholm rappresentò in seguito uno dei vertici dell'intelligenza calcistica che si sviluppò nella scuola del Milan, con l'immenso Schiaffino e Rivera).

 

Dunque  Liedholm era il cucitore di collegamenti, un intellettuale che si dedicava più a un lavoro di quantità e di appoggio a Gren e Nordahl che alla ricerca del brillio personale, quasi riconoscesse la loro maggiore classe. La sua mobilità gli apriva però anche spazi per il tiro e a concludere l'azione.

 

Se Liedholm aveva molte qualità in alta misura, presso gli altri due dimoravano alcune qualità in misura eccezionale.

 

Gunnar Nordahl, se ben ricordo, faceva in Isvezia lo stesso lavoro di Gren, cioè il pompiere (erano dilettanti!), e invece era compagno di club di Liedholm, nel Norkköping. L'epiteto più appropriato che gli si dava in Italia era: "bisonte"; ma era un bisonte dal piede di velluto, non ignaro di finezze. La sua qualità suprema era il tiro, potentissimo – d'altra parte tutto il suo fisico esprimeva possanza. Alto, grosso, pesante sui novanta chili, quando prendeva velocità diventava travolgente. Impressionanti erano le sue girate al volo, dove caricava sul pallone tutto lo slancio della coscia massiccia.

 

Avrete capito che contrastare un tal marcantonio dotato di tecnica era un problema per il povero centromediano avversario. Persino il grande Parola della Juventus una volta perse la testa fino a farsi espellere, in una partita storica persa a Torino per  7-1  (però dal quel momento la Juventus, il cui vantaggio sul Milan si era ridotto ad un solo punto, si riprese e vinse il campionato).     

 

Gunnar Gren, dei tre, era quello che aveva poco di atletico. Un fisico che non esprimeva agilità, poco mobile, piuttosto lento, già stempiato, sembrava meno alto di quanto non fosse. Era in sostanza il rappresentante di un calcio di altri tempi. Ma quello che faceva Gren col piede resta mirabile nel ricordo. Gli "stop" di Gren erano una gioia per gli occhi. Immobilizzava perfettamente la palla con un solo tocco, con qualunque parte del piede, persino di tacco; penso tenesse conto della  rotazione della palla e dello spirare del vento. Poi, colla palla ferma ai piedi, si dedicava all'esercizio di inciucchire l'avversario con una serie di finte e controfinte e alla fine lo lasciava lì. Ricordo che un giornalista fantasioso aveva descritto tali azioni in serie definendole come la trapanazione del cranio effettuata dal professor Gren.

 

Era chiamato infatti "professore" per quel suo particolare atteggiamento in campo che appariva non combattivo, appartenente più alla categoria del pensiero che a quella dell'agone, da cui scaturivano invece la giocata imprevedibile e il passaggio misurato, sapiente e creativo. La genialità e la fantasia di Gren non sembravano appartenere al nebbioso mondo nordico, ma piuttosto caratteristiche latine.

 

Gren era dunque, dei tre, l'artista tessitore. Le sue segnature personali non erano  frequenti: qualche pallone piazzato di precisione. Non ricordo avesse un forte tiro.

 

Pesco nelle mie rimembranze per dirvi un paio di episodi di quella che mi sembra la prima partita giocata in Italia da questo trio che si era ricomposto nel nostro campionato: partita giocata sul campo del Genoa, non contro il Genoa, vinta 3-1.

 

Ricordo una gol segnato da Nordahl nel primo tempo ma iniquamente annullato. Nordahl, che si era liberato davanti alla porta, venne attaccato contemporaneamente di spalla dal suo marcatore (Bertani?) e dal portiere in uscita. Il difensore per il contraccolpo andò in terra lui mentre la palla fu accarezzata d'esterno destro e mandata lenta nell'angolo lontano. Nordahl dimostrò sorpresa di questo metro arbitrale.

 

Ricordo Gren che correva palla al piede attaccato da due avversari, ai lati. Il pallone improvvisamente restò fermo per terra, immobile come se fosse stato posato con le mani, senza alcun atto apparente che ne causasse la fermata, tanto che tutti e tre i giocatori in azione continuarono a correre per diversi passi dato che i difensori non si erano accorti che la palla non c'era più. Dietro era pronto Liedholm. Quando i due difensori si furono fermati, sconcertati, Liedholm rilanciò la palla, a parabola precisissima, a Gren che aveva continuato a correre e la captò senza sforzo.

 

Ricordi sbiaditi di un mondo che non è più, di giocatori che non si ripeteranno.

 

 

Vittorio Riccadonna.

 

 

 

 

 

 

 







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