Sul caso di Mesto espulso
Data: 09/10/2009 18.59
Argomento: dalla redazione


 

 

Due osservazioni, non sconnesse tra loro.

 

Io che ero presente a Bologna ho potuto vedere che Mesto, tra due avversari, si è trovato la palla verso il braccio e se l’è aggiustata intenzionalmente, portandosela avanti.

 

Invece dalla ripresa televisiva al ralenti commentata dall’ex arbitro Cesari non si ha avuto la possibilità di percepire il movimento.

 

 

 



Ecco un'ulteriore conferma che la televisione è a volte un mezzo infedele: considerazione da me già sostenuta in questo sito.

 

Seconda osservazione, importante.

 

Molti spettatori, a giudicare dai commenti che si sentono negli stadi, non hanno chiara l’idea che quando il pallone tocca mano o braccio, portiere a parte, si possono avere tre casi.

 

Se non esiste l’intenzione (che una decisione FIGC precisa debba essere inequivocabile) del giocatore di giocare la palla, vale a dire di giovarsene, non c’è fallo, neppure se si salva una segnatura.

 

Se l’arbitro attribuisce al giocatore l’intenzione, c’è la punizione diretta.

 

Infine, secondo interpretazione A.I.A., se il giocatore tocca volontariamente e platealmente il pallone con la mano (altrove: tocca volontariamente il pallone con la mano) per impedire che un avversario ne entri in possesso o per interrompere gli sviluppi di un’azione d’attacco ... o per tentar di segnare una rete ... c’è anche l’ammonizione.

 

Il caso di Mesto a Bologna appartiene al secondo caso: non richiedeva ammonizione. Era un contrasto nella zona centrale del campo, gli avversari non erano in attacco, il fallo aveva un carattere occasionale, senza malizia preordinata, e la palla non era diretta chiaramente ad un avversario.

 

A partire dalla decisione errata su Mesto in poi, l’arbitro Gervasoni ha dato l’impressione di aver perso serenità nel controllo della partita.

 

Premesso questo riguardo la fattispecie, veniamo al problema principale.

 

L’arbitro non ha fischiato subito il fallo di Mesto, ma soltanto dopo che l’azione aveva percorso un tratto. Una semplice indecisione?

 

Ho sentito, da diverse voci, di una segnalazione del cosiddetto quarto uomo. L’arbitro sarebbe stato avvisato via radio di qualcosa che non aveva visto, quindi non poteva valutare nella sua gravità, e sarebbe intervenuto alla cieca. (“Se mi ha avvertito vuol dire che era grave”).

 

Vorrei tanto che non fosse vero. Purtroppo non mancano indizi di una tale abitudine.

 

Arbitro e guardalinee, così come i giocatori, sono visibili attori di un avvenimento pubblico. Con le loro decisioni, a tutti evidenti, espongono se stessi.

 

Ripugna l’idea dell’interferenza di un regista occulto, in un avvenimento per sua natura interamente aperto agli spettatori.

 

Il fatto sportivo si permea, per così dire, di un sentore come da associazione segreta.

 

Non abbiamo bisogno di una tale perversione. Preferiamo incorrere nel sano errore umano di un arbitro che corre all’aria aperta, senza che sia condizionato da parole sussurrate nell’ombra.

 

Infine, si può supporre che il cosiddetto quarto uomo sia esente da errori?

 

E se, come forse in questo caso, l’errore è generato da questa nuova forma di comunicazione “sotterranea” e impropria che è la radiolina ad orecchio?

 

E se il cosiddetto quarto uomo (nominato forse con una punta di denigrazione) fosse a sua volta schiavo di un messaggio televisivo?

 

Messaggio televisivo che, ripeto e mi riallaccio alla prima considerazione, nel prevalere sulla visione viva io considero pericolosamente fallace.

 

 

 

Vittorio Riccadonna

   

 

 







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