“8 gennaio 1950” di Eugenio Grondona
Data: 08/01/2010 13.17
Argomento: l'opinione


Sono passati 60 anni.
Una vita.
Anzi per molti non sono mai arrivati.
Per altri più fortunati come me, siamo già alla terza generazione.
Non dico sembra ieri, perché non è così.
I ricordi ci sono, ma sono confusi, non più nitidi, legati a ricorrenze e tradizioni.

 



Quell’anno era l’ultimo giorno di vacanza scolastica, fortunosamente prolungato perché l’Epifania, che tutte le feste se le porta via, cadeva di venerdì e quindi niente scuola al sabato.
Anche se per me la differenza tra scuola e vacanza non era ancora molta, frequentando le elementari, la terza, quindi con impegni non eccessivi, vicino a casa.
Andavo in una scuola di suore, mista!, ma soltanto sino alla terza appunto.
Di quel periodo ricordo molti visi, ma tutti di ragazze, strano eh, anzi di bambine, diventate poi ragazze, e molte assai belle.
Con alcune ci vediamo ancora ogni tanto, qualcuna è andata lontano, altre sono o sono state fidanzate o mogli di amici e parenti, per qualcuna dieci anni dopo, magari ho sbavato anch’io!
Ma torniamo a quella domenica di sessant’anni fa.
Mi ricordo una bella giornata, forse perché finalmente mio padre l’aveva avuta vinta, o forse mia madre aveva ceduto, non lo saprò mai, e così era riuscito a portarsi con sé il figlio più piccolo, quello che ancora non aveva avuto il battesimo dello stadio.
Andammo nella gradinata sud , senz’altro perché quel giorno era meno frequentata della mitica Nord, e quindi c’erano meno pericoli di affollamento per un bambino che vi entrava per la prima volta.
Non lo ricordo, ma certamente avevo i miei pantaloncini corti, perché a quell’epoca non c’erano né jeans né pantaloni lunghi di velluto per i piccoli, non certo come ora, che escono dal reparto maternità già vestiti per andare all’università!
Comunque eccomi, finalmente seduto sui gradoni, mano nella mano di mio padre, gli occhi sgranati a guardare tutta quella gente intorno a me, ma soprattutto dall’altra parte, dove gente ce n’era veramente tanta.
Era l’ultima giornata del girone d’andata, la partita era con la Triestina, squadra che non poteva retrocedere perché la città di Trieste, in quegli anni contesa per i suoi confini, con la sua squadra di calcio, veniva considerata un simbolico bene nazionale, da conservare ai massimi livelli.
Comunque sia in quell’anno che in quello seguente, in cui retrocedemmo drammaticamente in B, ci stettero abbondantemente davanti.
Tutte cose che ovviamente non sapevo quel giorno, ma che ho scoperto in seguito.
Come non sapevo che avrei assistito, proprio il giorno del mio esordio al campo du Zena”a qualcosa di storico, unico ed irrepetibile, nel bene e nel male.
Mio padre mi aveva detto, per quel che potevo capire, che nel Genoa giocava un fenomeno, un giocatore che buttava spesso la palla in rete.
Era argentino, si chiamava Mario Boyè, aveva giocato nella sua nazionale, era famoso nel mondo del calcio ed ora lo era anche nel Genoa.
Si era presentato in un’amichevole estiva con il Livorno con ben cinque reti, poi incominciò a segnare anche in campionato.
E la sua bravura fece passare in second’ordine, cosa difficile da credersi, anche un errore dal dischetto in un derby perso proprio per 1 a 0, tre mesi prima.
Ebbene quel giorno fece di tutto per confermare quello che mio padre mi aveva spiegato, facendo con allegria, perché in discesa, la scalinata Montaldo.
Segnò quattro reti, di cui una indimenticabile con un tiro micidiale, di una forza incredibile da, dicono le cronache del tempo, quasi 40 metri!
Il Genoa stravinse per 6 a 2 e mi conquistò definitivamente, anche se a parole e per conoscenza indiretta ormai era già fatta da tempo.
Ma uscendo dal campo, sempre per mano, con le mie gambe penso infreddolite, ma subito scaldate dalla salita della scalinata, ero felice per aver visto mio padre così contento, come tutta quella gente che non finiva mai di urlare ed in sei occasioni in modo molto forte!
E mio padre mi diceva che avevo appena visto giocare un fenomeno.
Ma neppure lui poteva sapere che quelle reti erano le ultime che Mario Boyè avrebbe segnato nel Genoa e che solo 15 giorni dopo, a Roma, appena sconfitti pesantemente, lui invece di tornare con la squadra per Genova, si imbarcò frettolosamente e di nascosto, con la famiglia, per la sua Buenos Aires.
Ma questa è un’altra storia, che non ha mai cancellato e mai cancellerà l’emozione di un esordio fortunato e privilegiato, che mi accompagnerà per sempre.
Quindi questo è il mio sessantesimo anniversario di nozze effettive con il Genoa, vissuto con malinconia per chi non c’è più a tenermi la mano, ma con fierezza per quello che è stato, in A,B,C, non importa dove e come, e con tanta speranza per il futuro, anche se gli anni  saranno ovviamente molti di meno.
Ma la gioia di tifare per questa squadra sarà sempre immutata e poi dopo i figli, l’ho già passata ai nipoti, quindi questa proseguirà ancora per molto.
E questo mi basta ed avanza.

Eugenio Grondona

 







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