L'attacco senza centro
Data: 22/02/2012 11.27
Argomento: dalla redazione


 

 

Ah, che centrattacco!, cantava la canzone.

 

Eh, sì, un forte centrattacco può essere un trascinatore per la squadra, oltre che ispirare canzoni.

 

Quest’attacco inefficiente del Genoa visto nelle ultime partite fa pena, con Palacio abbandonato tra i difensori centrali a contrastare palle lunghe e alte. Una disposizione delle più infelici!

 

 

 



Ah, se avessimo uno dei tanti grandi centrattacchi che la mia memoria ricorda . . .

 

Nordahl il Bisonte, Petrone l’Artigliere, Stabile il Filtrador, Altafini “Mazzola” giocatore completo, Charles il Gigante, Piola delle giravolte, Gabetto l’Imprevedibile, Ibrahimovic di gomiti e spaccate, Lawton il risolutore . . . 

 

Con un giuocatore come quelli, i nostri problemi sarebbero risolti; ma anche un semplice Gilardino ce li risolverà poi non troppo male.

 

Ma poniamo che un centrattacco non ci sia, che a noi manchi del tutto. L’allenatore Marino stesso, ha ammesso che Zé Eduardo non è una punta e sembra che le giovanili, un tempo tanto fertili, non abbiano fornito al momento un prodotto degno.

 

E’ proprio indispensabile un buon centrattacco?

 

La storia del calcio insegna di NO. Possono esistere squadre fortissime all’attacco tuttavia sprovviste di un tale potente specifico strumento di offesa.

 

Se guardiamo il calcio antico, quello, voglio dire, anteriore al fuorigiuoco a 2, che gli attacchi si svolgessero col criterio del trio d’attacco era la normalità. Il trio d’attacco era costituito da centrattacco e mezzali; le ali erano piuttosto portatori di palla che si tenevano sulle linee laterali. Il centrattacco quindi collaborava, non era la punta risolutrice designata.

 

Nel Genoa massimo della sua storia, si dividevano equamente tra di loro le marcature Sarti (il re delle mischie), Catto (il cavallone), Santamaria (l’intelligenza del trio).

 

Quando l’Uruguay nel 1924 vinse il primo campionato del mondo della storia segnando 20 gol nelle 5 partite, 16 di questi furono marcati: 5 da Scarone mezzala destra (il giocatore più brillante dei tre), 5 da Petrone centrattacco, 6 da Cea mezzala sinistra: un trio d’attacco stellare!  – scusatemi, vado a memoria, se non è proprio così, quasi.

 

Il massimo del giuoco d’assieme del trio centrale in Italia fu quello del Torino vincitore del titolo, con Baloncieri (alessandrino, di conseguenza  specialista dei passaggi di interno piede), Libonatti (argentino), Rossetti (ligure-toscano).  Libonatti non teneva affatto la posizione di centrattacco: i tre giocavano a  tourbillon.

 

Di pretta scuola danubiana ma particolare fu il Wunderteam austriaco, col centrattacco Sindelar il Cartavelina a ricamare partendo dal retro: si trattava di un quintetto d’attacco tutto collegato (a partire dall’ala destra Aurednik dalla finta a gelatina, cioè a gambe tremolanti), che aveva come massima ambizione una manovra tanto compessa da poter collocare la palla in porta dopo che l’avessero toccata tutti e cinque.

 

Il cambiamento della regola del fuorigioco provocò l’arretramento delle mezzali e l’attribuzione di un ruolo di punta delle ali ed acquisì spazio la proiezione più offensiva del centrattacco. Nonostante questa tendenza, sono numerose le eccezioni.

 

Non starò a citare la canzone Didì-Vavà-Pelé, che i più vecchi di noi hanno sentito ripetere, in quanto Didì in realtà giuocava arretrato e il trio era piuttosto con il Garrincha (uccellino) dalle gambe innaturalmente storte, che andava via sempre con la stessa finta.

 

Non ricordo successivi esempi notevoli in America di attacchi a trio mobile. Il formidabile Uruguay di Schiaffino e Abbadie aveva del tutto abbandonato tale caratteristica (le mezzali arretravano anche moltissimo).  Poco so del modo di giocare della “macchina” River Plate con Labruna-Di Stefano-Loustau; credo che Pedernera sia stato un giocatore universale. Altri trii centrali famosi giocavano anch’essi con le mezzali distaccate (abbiamo visto giocare a Genova il trio Simes-Bravo-Mendez del Racing e conosciamo quello degli “Angeles de la cara sucia” – frase presa in prestito dal titolo tradotto di una pellicola degli stati Uniti dell’epoca -: Sivori-Maschio-Angelillo).

 

Il trio formidabile ungherese Hidegkuti (deputato al Parlamento)-Kocsis-Puskas (colonnello dell’esercito), costruttore di veloci ricami a filo d’erba, che meraviglia, non lo vedremo mai più, era atipico perché “rovesciato”. Hidegkuti, col N° 9, sapeva inserirsi eccome ed era anche lui un gran tiratore in quel trio di grandissimi tiratori (Kocsis abilissimo anche di testa), ma più abitualmente giocava d’appoggio.

 

Il famoso trio svedese Gren-Nordahl-Liedholm vedeva Nordahl centrattacco inamovibile, anche se il gigante conosceva tocchi di piede morbidi, deliziosi. Questi furono i successori del trio Palmer-Jeppson-Skoglund, che ci eliminò dalla Rimet del 1950 (all’ala sinistra Nilsson, poi visto nel Genoa). Tutti e sette vennero a giocare in Italia.

 

Eppure anche nel calcio “moderno”, come dicevo, non sono mancate formazioni con importanti attacchi atipici, secondo la linea tattica del “vuoto a riempire”.

 

La notevole nazionale di Francia di Fontaine fu l’esempio di un attacco che non si basava sull’insistenza al centro ma sull’ariosità e gli inserimenti.

 

Anche in Italia il grande Vicenza di Paolo Rossi giocò ad attacco mobile, Rossi non faceva il centravanti fisso (ma che classe aveva).

 

Che dire del gioco d’assieme (un assieme quanto mai intercambiabile) olandese degli anni ’70? Lì di fisso non c’era nessuno. L’attaccante di maggior classe, Cruiff, non potevi dire che ruolo avesse.

 

Nella stessa Sociedad Real di Madrid dei cinque trionfi della neonata Coppa dei Campioni, Di Stefano giuocava più da centravanti di manovra che da punta.

 

Sono certo che qualcuno di voi saprà continuare l’elenco meglio di me, guardando all’attuale.

 

Dunque è proprio vero che non c’è limite alla fantasia, alla creazione; oggi più difficile perché tutto è così più studiato ...

 

Tornando al Genoa, se un difetto di questa squadra è il gioco preparatorio, perché, in mancanza di un centrattacco, non puntare sulla creazione di un velo armonico tra alcuni giuocatori, i migliori in palleggio che abbiamo, lasciando lo spazio avanzato centrale libero per gli inserimenti?  Abbandonare il sistema dei lanci lunghi e alti e cercar di costituire una ragnatela di passaggi, non so, tra Zé Eduardo, Jorquera, Belluschi? Studiare di mettere a frutto la difficoltà tattica dei difensori avversari, che è sempre il medesimo dilemma da che esiste il calcio: restare coperti lasciando la manovra agli attaccanti oppure contrastare le azioni sul nascere rinunciando alla copertura?

 

Forse mancherà il coraggio di disassestare l’intera squadra – che responsabilità sarebbe . . .

 

Penso che un gioco fondato sul movimento, l’invenzione, la variabilità, richieda anche che diversi siano i buoni tiratori e con questo pensiero qui smetto perché torna a pungere anche me l’insanabile amarezza di non aver mai potuto vedere Figueroa e Milito giocare assieme.

 

 

Vittorio Riccadonna

 

 







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