Parla Gianni Rivera
Data: 28/08/2013 20.54
Argomento: dalla redazione


 

 

Ieri sera si è svolto l‘annunciato incontro di Eugenio Buonaccorsi e Sergio Maifredi con Gianni Rivera, della serie di “Dialoghi sulla Rappresentazione” che hanno organizzato a Palazzo Tursi.

 

E’ stato dolce rivedere Rivera, coi capelli bianchi e ancora il suo fisico asciutto, ed è stato oltremodo delizioso ascoltarlo, signorile e franco, a proposito dei problemi del mondo del calcio e della società d’oggi.

 

 

 



Gianni Rivera, che è oggi Presidente del Settore Giovanile e Scolastico della FIGC, ha discorso a proposito di tante cose che è impossibile renderne qui un sunto. Ci sarebbe forse da organizzare una nuova conferenza tra di noi!

 

Devo limitarmi a darvi un’idea accennando ad alcuni pensieri su alcune questioni.

 

Il dialogo aveva per argomento “la rappresentazione della paura”; in particolare, quella di sbagliare che attanaglia un giocatore quando deve tirare un calcio di rigore e ha di fronte il portiere.

 

Rivera ha smontato la questione della paura: se c’è la passione il calcio è un gioco che si fa con piacere e il sapere che inevitabilmente si può sbagliare rientra nel gioco e non fa paura.

 

Nel calciare i rigori guardava i movimenti del portiere; se stava fermo, cercava l’angolo. 

 

Alla domanda quale sia stato il maggior giocatore da lui visto, ha indicato Pelé perché sapeva fare tutto e in particolare tirare con la stessa forza con entrambi i piedi con un’equivalenza mai raggiunta da altro giocatore.

 

Caduto inevitabilmente il discorso sulla famosa partita del 4-3 contro la Germania Ovest, ha fatto una perfetta descrizione dell’azione del 4° gol dai punti di vista tecnico e mentale: il dispetto del gol del 3-3, il passare la palla avendo di fronte uno stuolo di avversari e seguire l’azione, sul centro dalla sinistra di Boninsegna cambiare piede al momento del tiro perché il portiere aveva intuito il calcio di sinistro e prenderlo di contropiede con l’interno destro, la palla entrata in porta per essersi il portiere già lanciato in anticipo. La frase effettivamente detta ad Albertosi "adesso vado a segnare" subito dopo essersi lasciato passare la palla del 3-3 non voleva esprimere proprio tale determinazione ma semplicemente la volontà di giocarsi ancora la partita, altrimenti come avrebbe potuto tornare in patria.

 

Sull’argomento della formazione della nazionale in quella Coppa Rimet ha detto che il suo avvicendamento con Sandro Mazzola (un tempo per uno) proveniva da pressioni politiche e quando entra la politica fa danni. Sapere in anticipo che si sarà sostituiti ha poco senso. Tuttavia in quel caso funzionò e non si può dire che se egli avesse giocato la finale col Brasile avremmo vinto noi perché il Brasile aveva qualcosa di più.

 

Vorrebbe che negli stadi venissero eliminate le barriere tra campo di gioco e pubblico: ritiene che il pubblico si comporterebbe più civilmente.

 

Sul pubblico incivile si è soffermato in modo particolare. Ammette che la segregazione tra le opposte tifoserie non è buona cosa ma utile per evitare gravi incidenti. Dovrebbe esserci più severità verso i singoli facinorosi, che in Inghilterra vengono subito repressi.

 

A proposito della famosa finale vinta dalla Juventus all’Eysel in Belgio con una trentina di morti, ritiene che sia stata giocata per evitare ulteriori sommosse e la Juventus doveva vincere ma non pensa che sia stata fatta vincere di proposito.

 

Il peso del denaro nel calcio e nella vita provoca anche una sorta di conformismo nei conportamenti.

 

Considera importante il contributo fattivo di ciascuno. Ha citato il Papa Francesco e il detto di Gesù che non si può servire a Dio e a Mammona, cioè alla ricchezza.

 

I festeggiamenti di oggigiorno dopo un gol sono una cattiva abitudine indotta dalla commercializzazione del mondo attuale.

 

Ricorda che un tempo i giocatori si limitavano ad alzare le braccia, saltare ed abbracciare tutt’al più i compagni vicini. Invece li vediamo raggrupparsi tutti e andare anche davanti al pubblico amico e levarsi la maglia (non sempre un bello spettacolo). La maglia è il simbolo più sacro per un giocatore: non appartiene al giocatore, ma a tutta la squadra. I Presidenti dovrebbero esse i primi a proibire severamente ai giocatori di levarsi la maglia. Una volta un giocatore della squadra (mi è sembrato di capire uno straniero) dopo aver segnato un gol si mise a correre intorno all’area di rigore a festeggiare: gli altri giocatori si limitarono a tornare a centro campo e aspettarono che avesse finito.

 

Nei campionati pulcini si sta sperimentanto pare con buoni risultati l’autoarbitraggio, cioè le partite si giocano senza arbitro e i ragazzini fanno tutto da sé.

 

Un’altra iniziativa è di far sedere in panchina, a turno, un genitore. In questo modo le madri sentono cosa gridano le altre mamme che stanno tra il pubblico (le mamme sono terribili) e imparano a vedere la partita sotto un profilo completamente diverso.

 

Per i fantasisti era più facile giocare al tempo delle marcature ad uomo oppure oggi con la zona? A questa domanda ha risposto semplicemente che oggi non ci sono più fantasisti. Dipende dagli allenatori delle giovanili, i quali ricercando più il risultato immediato che la formazione dei ragazzi spesso preferiscono mettere in campo quelli più grossi e atletici piuttosto che quelli più fini tecnici e inventivi.

 

Le giocate fantasiose sono importanti anche per attirare l’interesse del pubblico.

 

Da ragazzo come tutti giocava nella strada. Poi nell’Alessandria non ancora sedicenne fu messo centrattacco perché se la cavava ma poi presto passò mezzala e giocò poi sempre nel ruolo di regista. Il primo anno nell’Alessandria fece una sola partita; il secondo anno una quindicina e 6 gol.

(Chi scrive queste note lo vide giocare con il 10 in grigio dell'Alessandria contro la Sampdoria: non sono stati molti a giocare in serie A a 16 anni!).

 

Con Berlusconi non c’era concordanza.

 

La conferenza è stata intervallata dalla proiezione di un filmato di azioni di gioco di Rivera.

 

In conclusione, da questa conferenza ci resta viva la sensazione della antica bellezza di questo sport, in cui anche campioni di campo avversario vengono accolti, oltre che con ammirazione, anche con sentito affetto.

 

 

Vittorio Riccadonna

 

 

 







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