Un oscuro penalty a favore
Data: 05/11/2013 23.01
Argomento: dalla redazione


 

 

I meccanismi del calcio di rigore assegnato al Genoa contro la Lazio ispirano qualche riflessione.

 

Postulo come veri due fatti, che sembrano abbastanza evidenti.

 

Primo: il braccio del terzino della Lazio che ha colpito la palla era scoperto, ben visibile all’arbitro che era vicino; l’arbitro, Tommasi da Bassano del Grappa, che immediatamente si è diretto verso il centro del campo, quindi riteneva: “non l’ha fatto apposta”.

 

Secondo: l’arbitro è tornato indietro a dare il rigore, dopo aver sentito via radio che un collaboratore (forse Barracani giudice di porta) invece riteneva: “l’ha fatto apposta”.

 

 



Questi due fatti non stanno insieme. Sono una combinazione impossibile.

 

Sarebbe addirittura un errore tecnico, tale da annullare la partita, che l’arbitro abbia deciso una sanzione in contrasto colla propria idea. Diverso sarebbe stato se il collaboratore gli avesse indicato un fatto sfuggito alla sua percezione; qui invece siamo nell’ipotesi della pura interpretazione, sulla quale non esiste la minima ragione per cui l’opinione di un collaboratore debba prevalere su quella dell’arbitro.

 

Se scartiamo questa spiegazione monstre e ne cerchiamo un’altra, cadiamo in domande ancora più conturbanti.

 

Come tutti sappiamo dal tempo in cui abbiamo cominciato ad interessarci di calcio, il fallo di mano richiede la volontarietà, cioè l’intenzione di un vantaggio di gioco. Questa norma vale da tempo immemorabile. Se non fosse così, vedremmo gli attaccanti tirare addosso ai difensori invece che al portiere.

 

Tuttavia circola da qualche tempo una assurda idea nuova: si dice che il regolamento sarebbe cambiato. Falsità: il regolamento di gioco per i falli di mano rimane lo stesso da secoli, cioè conta solo l’intenzione. Da dove proviene una tale mistificazione?

 

Allo scopo di avvicinarsi all’uniformità, nell'arduo compito che si pretende loro di decifrare una mente umana, il clan degli arbitri ha emesso vere e proprie direttive, ai propri affiliati, su come deve riconoscersi l’intenzionalità, direttive attraverso le quali si sposta alla meccanica dei movimenti fisici quello che nel regolamento è un concetto astratto, mentale. Sono concetti ormai arrivati anche alle nostre orecchie: ad esempio, se le braccia sono aperte allora è intenzionale, se ha battuto sul ginocchio allora no, eccetera.

 

Potrebbe dunque essere arrivato all’arbitro per radio il messaggio del tipo: devi dare il rigore (secondo le istruzioni) perché il braccio era aperto.

 

Questo tipo di direttive, seppure valide nella maggioranza dei casi, non dovrebbero prevalere automaticamente sul dettato del regolamento, che è di rango superiore e inalterabile: mi sento di affermare con sicurezza che non sempre se il braccio è aperto c’è l’intenzione di giocare la palla e similmente anche in altri casi queste direttive “fisiche” non risultano sempre assolutamente fededegne.

 

Dunque, sempre restando nell’ipotesi che l’arbitro abbia visto come involontario il colpo alla palla dato col braccio dal terzino della Lazio, secondo me egli ha tradito la propria funzione inchinandosi alle istruzioni.

 

Ma non è grave il caso particolare, in confronto alla questione generale.

 

Saremmo di fronte ad un travisamento del regolamento di calcio, da parte degli arbitri?

 

 

 

Vittorio Riccadonna

 

 







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