Ancora sul fuorigioco
Data: 04/10/2014 10.17
Argomento: dalla redazione


 

 

La marcatura subita dal Genoa nel finale dell’ultima partita ha sollevato anche su questo sito interessanti discussioni sulle regole, spesso fuori argomento.

 

Tento di discutere il vero problema e comincio col citare il regolamento di giuoco, che deve essere il nostro Vangelo, seguito dalle interpretazioni che ad esso vengono date nel mondo arbitrale, che ne costituiscono l'elemento critico.

 

 

 



 

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DALLA REGOLA 11 DEL REGOLAMENTO DI GIUOCO

 

Posizione di fuorigioco

 

Essere in posizione di fuorigioco non è di per sé un’infrazione.

 

Un calciatore si trova in posizione di fuorigioco quando:

• è più vicino alla linea di porta avversaria rispetto sia al pallone, sia al penultimo

avversario.

Un calciatore non si trova in posizione di fuorigioco quando:

• si trova nella propria metà del terreno di gioco; oppure

• si trova in linea con il penultimo avversario; oppure

• si trova in linea con i due ultimi avversari.

 

Infrazione

 

Un calciatore in posizione di fuorigioco deve essere punito solo se, a giudizio

dell’arbitro, nel momento in cui un suo compagno gioca il pallone o è da questo

toccato, egli prende parte attiva al gioco:

 

• intervenendo nel gioco; oppure

• influenzando un avversario; oppure

• traendo vantaggio da tale posizione.

 

 

INTERPRETAZIONI ARBITRALI ALLA REGOLA 11

 

Nell’ambito della Regola 11 si applicano le seguenti definizioni:

• “più vicino alla linea di porta avversaria”  significa che qualsiasi parte della  testa, del corpo o dei piedi del calciatore è più vicina alla linea di porta avversaria sia rispetto al pallone, sia al penultimo avversario. Le braccia non sono incluse in

questa definizione.

• “intervenire nel gioco” significa giocare o toccare il pallone passato o toccato da

un compagno;

• “influenzare un avversario” significa impedire ad un avversario di giocare o di

essere in grado di giocare il pallone, ostruendogli chiaramente la linea di visione o

contendendogli il pallone.

• “trarre vantaggio da tale posizione” significa:

1) giocare un pallone che rimbalza o è deviato dal palo o dalla traversa o da un

avversario, essendo stati in posizione di fuorigioco.

2) giocare un pallone che rimbalza, è deviato o è giocato da un avversario su di

una parata (o un salvataggio di una rete) intenzionale, essendo stati in posizione

di fuorigioco.

Un calciatore in posizione di fuorigioco che riceve il pallone da un avversario, che

lo gioca deliberatamente (tranne su una parata o un salvataggio intenzionale di

una rete) non si deve ritenere che abbia tratto vantaggio.

 

 

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Questi i testi ufficiali.

 

Intanto risulta chiarissimo che le argomentazioni sul fatto che la palla fu toccata di testa da un difensore senza altri interventi successivi, “e questo cambia tutto”, furono vere scempiaggini.

 

Piuttosto vi chiedo di riflettere sul vero problema.

 

Il fuorigioco è forse l’unica regola tra tutte che fu sempre presente nel football inglese fin dagli albori, sebbene in forme diverse, e fu sempre accompagnata dalla condizione di prendere parte al gioco.

 

Partecipare al gioco può essere un’idea complessa, astratta, non bene definibile con precisi atti fisici; come tale, sulla medesima azione persone diverse possono farsi idee diverse.

 

Rimaneggiata ripetutamente degli ultimi tempi, vediamo che si tende a precisarla  attraverso un atto fisico: toccare il pallone.

 

Ma, se partecipare all’azione può significare influenzare un avversario, forse si può influenzare un difensore avversario anche senza giocare o impedirgli di giocare il pallone: ad esempio un attaccante davanti al portiere ne influenza la posizione se la palla scorre davanti. 

 

Si può trarre vantaggio dalla propria posizione senza toccare il pallone?

 

Esattamente questo è accaduto domenica scorsa.

 

Dobbiamo concludere che le interpretazioni arbitrali violino nel loro spirito il senso autentico delle regole di giuoco?

 

E’ palese che negli ultimi tempi, sotto la pressione delle riprese anche fuorvianti dei mezzi di comunicazione, il mondo arbitrale cerca di spostare i criteri nel senso più dei fatti fisici che dei giudizi sulle intenzioni, che sono astratti. Questo è molto evidente circa i falli di mano (“se il braccio è aperto allora è fallo”: attribuzione automatica della volontarietà, così non si discute più).

 

Siamo di fronte ad una deviazione, oppure dobbiamo ritenerle “interpretazioni”  legittime?

 

 

Vittorio Riccadonna

 

 

 







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