IL CASO SARDI - SANTAMARIA (5)
Data: 08/12/2015 00.34
Argomento: i quaderni


 

I RIMEDI

Una lettera di C. M. Magni

Dall’amico Carlo Magni che già fu attivo collaboratore della Gazzetta dello Sport, che s’interessò sempre alla causa calcistica, e che occupa tuttora cariche negli enti direttivi del movimento e della vita attiva del foot-ball, riceviamo la seguente lettera alla quale diamo ben volentieri posto perché essa è di interesse generale e porta rimedi ad una causa tanto importante.

 

 



Milano, 12 giugno 1913

Caro Scarioni,

per quanto mi sia prefisso di restare il più possibile appartato da pubbliche discussioni, tuttavia leggendo il commento che la Gazzetta fa seguire al resoconto della seduta federale del 9 corrente, per ciò che concerne le misure prese a carico del Genoa Club e del giuocatore Fresia Attilio, sento il bisogno di esprimere i miei più forti dubbi sia sull’efficacia del colpo mortale dato al professionismo, sia sulla probabilità di uscire una buona volta dalla menzogna e dal penoso dubbio ecc.

No, il sottil morbo ha messo radici oramai troppo profonde ed è, malgrado tutto l’ottimismo che io vorrei avere, incurabile: neanche se avessero a scomparire dalla vita sportiva, intendiamoci, quelli che hanno iniziato, incoraggiato e che continuano a volere il professionismo larvato, neanche allora questo sottil morbo potrebbe essere guarito, perché oramai esso ha invaso ed infettato ciò che è il miglior sangue del giuoco del calcio in Italia.

Figurati poi se, e come potrà essere guarito questo male, quando si pensa che quella gente, cui alludo e che tu conosci al pari di me è, finora almeno, più che mai in auge. Tu sai poi, assai meglio di me, quanto di nuovo e di piccante pullula per l’aere calcistico! Ammesso dunque che il male sia incurabile, io credo che le Società Italiane, e per esse la Federazione, abbiano per lo meno il dovere di arrestarne con qualsiasi mezzo la marcia deleteria: a estremi mali estremi rimedi, e occorrono rimedi draconiani, che a prima vista potrebbero sembrar duri, ma dei quali – credo almeno – si risentirebbero presto i benefici. E l’esempio ci viene dato anche questa volta dal Belgio. Potrai ripetere fin che vuoi ciò che mi hai già detto tante volte, che io sono un…belgiomane, ma ti assicuro che dell’organizzazione del foot-ball nel Belgio noi Italiani abbiamo tutto da imparare. Dunque nel Belgio (dove pare si siano verificati diversi casi Fresia) l’assemblea dei delegati tenutasi il 18 maggio, allo scopo di combattere il professionismo larvato, ha votato il seguente regolamento: “Nessun giuocatore o membro di club potrà abbandonare il proprio club senza l’autorizzazione di quest’ultimo o senza il nulla osta di una commissione speciale composta di tre membri del Consiglio generale, dei due amministratori, di un delegato della Commissione di foot-ball e di un delegato di ciascun Comitato regionale. Questa commissione delibererà dopo aver sentito il giuocatore ed un delegato del club interessato. Tuttavia ogni giuocatore o membro che desideri cambiare di club, sarà tenuto a darne avviso, per lettera raccomandata scritta di suo pugno, alla Commissione speciale. Questa lettera dovrà esporre in succinto i motivi che spingono l’interessato a cambiare di club, e dovrà essere spedita al Segretario della Federazione dal 1° al 30 di giugno di ogni anno. Anche in caso di accettazione delle dimissioni da parte del club interessato, la Commissione speciale avrà il diritto di fare le inchieste ch’essa crederà necessarie, e di rifiutare se del caso il suo nulla osta”.

Questo regolamento potrà a prima vista sembrare troppo restrittivo e troppo lesivo per la libertà individuale dei vari giuocatori dilettanti: ma io dico che, quando di questa libertà se ne fa uso ed abuso, per infischiarsene altamente e sfacciatamente dei regolamenti che dovrebbero proteggere ciò che ci è di più sacro nello sport fatto per il bene della gioventù, nessuna misura potrà sembrare agli onesti ed ai benpensanti troppo severa e troppo draconiana, poiché il fine potrà sempre giustificare i mezzi. E la nostra Federazione che col duplice atto testè compiuto ha dimostrato un coraggio veramente insospettato ed inaspettato (specialmente dopo la deliberazione presa questo inverno per un altro caso di professionismo) ed ha mostrato inoltre  di aver a cuore il puro dilettantismo del nostro sport, non dovrebbe esitare a prendere esempio dalla consorella del Nord e studiare e proporre alla prossima assemblea dei delegati quelle misure le più adatte, anche se saranno troppo severe, per mettere un argine al rapido dilagare del sottil morbo e schiacciare la testa a quel serpe velenoso che vuol distruggere il lavoro compiuto per quindici anni da tanti onesti.

 

Quasi a suggello di tanta retorica invettiva, in un breve trafiletto dal titolo “La notizia a Torino”, il giornale si pregiava di informare che

 

“la punizione inflitta al Fresia è stata accolta nel mondo del foot-ball torinese con vivissima soddisfazione; vi dirò di più: alla Federazione sono giunte moltissime congratulazioni da parte di sportmen italiani. Non è improbabile che oltre ai due casi da giudicarsi Sardi e Santamaria, fra non molto se ne annunzino degli altri all’orizzonte”

 

Un commento a distanza di un secolo, specie a quanto sostenuto da Carlo Magni, risulterebbe impresa possibile solo riuscendo ad immedesimarsi nel clima profondamente “decoubertiniano” che vincolava ancora saldamente la pratica sportiva, ma siccome di detto spirito resta notizia solo nelle memorie tramandate o nei testi, suscitando peraltro sorrisi di quasi compassionevole ironia, né se ne può ritrovare traccia nel mondo delle pratiche sportive attuale, appare preferibile rivolgere ad altri argomenti l’attenzione. Ecco allora che appare di tutta evidenza come non fosse per nulla sopito l’aspro confronto tra chi riteneva il campionato, come ebbe a scrivere Brera, “la giostra domenicale di tutti gli stranieri cui prudono gli alluci per la voglia di pedatare” e spingeva perché le squadre fossero composte di soli giocatori italiani e le società, specie le primogenite del calcio nazionale, che annoveravano stranieri tra le loro fila, manifestatosi clamorosamente nel 1908 col rifiuto di queste ultime a partecipare ad un campionato in cui la Federazione aveva chiuso le porte agli stranieri.

Quanto alle affermazioni del prof. Lai della Doria ed alla sua compiaciuta elencazione dei titoli (peraltro di non eccezionale rilievo) ottenuti dalla società con “giocatori nazionali”, si potrebbe commentare, con altrettanto se non più giustificato orgoglio, che la risposta migliore venne una decina di anni più tardi ad opera del Genoa stesso, capace di aggiudicarsi due titoli nazionali schierando una formazione composta per dieci undicesimi da giocatori nati o cresciuti a Genova.

Anche Lo Sport del Popolo, bisettimanale pubblicato a Torino, riservò grande spazio al fatto. In data 13 giugno, titolando “Gli energici provvedimenti della FIGC”, sottolineava che

 

Da qualche tempo nei circoli sportivi genovesi circolava insistentemente la voce che alcuni fra i migliori giocatori della Andrea Doria sarebbero passati al Genoa Club, lusingati dalle eccellenti proposte fatte loro perché giuocassero nella stagione prossima sotto i colori rosso-bleu.

Si sapeva che il Genoa Club, dopo il nuovo e fallito tentativo di quest’anno per vincere il campionato rinforzando la propria squadra con dei giocatori inglesi hors classe, era venuto nel lodevole divisamento di preparare per la futura stagione dei campionati una squadra di giuocatori totalmente italiani. Ma in questa trasformazione dei sistemi sin qui seguiti, non si seppe abbandonare la biasimevole abitudine di attrarre i giuocatori con lo specchietto delle banconote. Non pareva vero ai riorganizzatori della squadra genoana che dei giuocatori di vaglia potessero accedere al loro Club, animati da pura passione sportiva! Questo è il paradosso…

La verità, assiomatica, è quest’altra: che i tre giuocatori coi quali si intavolarono le trattative, forse per non andare contro alle abitudini dei futuri padroni, si mostrarono disposti a cedere…solo dietro un adeguato compenso pecuniario. Che questo disgustante retroscena abbia passato i limiti della umana rassegnazione per le cose compiute, lo dimostra l’energico intervento della Federazione Italiana che per essere stata preposta all’ordinamento di uno sport dilettantistico non poteva tollerare che nell’ambiente dei footballers si verificassero dei casi di vero professionismo.

Con lodevole risolutezza la presidenza dell’attuale FIGC aveva saputo quest’anno, fino dall’inizio del suo governo, affrontare la spinosa questione dei giuocatori assoldati, e appena aveva avuto di che poter giudicare in base a documenti e testimonianze, non si era peritata di emanare delle sanzioni esemplari: i casi Müller e Comte informino.

Parve però a taluno che l’infierire dell’attuale Consiglio federale contro il lamentato professionismo di giuocatori esteri venisse ad assumere l’antipatico aspetto di una specie di caccia allo straniero. Si sapeva infatti, e parecchio si vociferava, che il professionismo non avveniva fra di noi solamente nei riguardi dei giuocatori stranieri, ma pure ve n’era fra quelli italiani. Giustamente preoccupata da queste voci, la Federazione affidò allora il delicatissimo compito di inquisire sulla faccenda ad una Commissione d’inchiesta. La quale, tanto per cominciare l’opera, scelse a suo punto di partenza Genova e pare sia ora intenzionata di spingersi sempre più innanzi, anche oltre Milano. Il risultato dell’inchiesta fatta a Genova lo si può rilevare dal molto sobrio e pure eloquentissimo comunicato ufficiale di martedì sera. Si è cominciato a squalificare il Fresia, l’uomo senza fissa dimora, o meglio senza spiccate simpatie per un colore piuttosto che per un altro; l’uomo che oggi giuocava col F.C. Piemonte, il mese dopo per il F.C. Torino, e quindi all’Andrea Doria per finire col Genoa Club! Dopo il Fresia sarà la volta di altri giuocatori incriminati per la medesima colpa. E poi…e poi c’è da sperare che con simili esemplari lezioni, il nostro pubblico si rifaccia la convinzione che il foot-ball in Italia è giuocato da soli e veri dilettanti”

 

L’articolo proseguiva con uno moto di rispettosa comprensione per il glorioso sodalizio rossoblu, invitato a perseverare nell’obiettivo di “italianizzazione” della propria squadra, mostrando così l’invito come  fosse sempre ben presente l’atteggiamento ostile verso i calciatori stranieri, automaticamente associati all’idea di professionismo, che da tempo ormai divideva alcune società dalle altre.

 

“La severa sanzione federale ha ottenuto l’unanime approvazione, ma nell’increscioso episodio l’opinione pubblica deve saper scindere la responsabilità delle persone che hanno combinato l’affare da quella dell’anziano Club genovese, per il troppo cieco amore del quale, alcuni maggiorenti ne hanno, apparentemente, offuscato il nome glorioso. Si farebbe infatti un gravissimo torto alla massa dei soci del Genoa Club supponendoli consapevoli di quanto si combinava sotto l’egida dei loro colori sociali. Tanto più che sappiamo quali diversi concetti intendano seguire l’anno prossimo coloro che ormai rappresentano la maggioranza, prettamente e saldamente italiana, del Genoa Club. Di questo Genoa Club, troppo forte di finanze e troppo ricco di ottimi giuocatori indigeni per dover oltre ricorrere all’ausilio, non sempre disinteressato, di elementi che non siano quelli fornitigli dalla grande massa dei soci.

Dalla solenne sanzione federale noi vediamo pertanto scaturire due benefici ugualmente immediati. Il primo, quello di una epurazione dell’ambiente degli pseudo dilettanti che l’inquinavano; il secondo, l’avvento definitivo del Genoa Club nel novero delle squadre italiane non solo di sentimento, ma benanco di giocatori”.

 

Di questo nuovo corso, sarebbe significativo il fatto che al termine del successivo campionato il Genoa rinunciò ai servigi di Grant, malgrado l’eccezionale rendimento – 41 reti in 34 partite – dell’inglese nelle due stagioni in cui vestì il rossoblu, proprio perché la Società aveva deciso di puntare su Santamaria.

Si dava poi spazio alla lettera (già riportata) che Goetzlof aveva evidentemente inviato a più di un giornale.

La direzione del periodico torinese riteneva di replicare al dirigente genoano in tali termini:

 

“Le argomentazioni del signor Goetzlof hanno un carattere procedurale che tende a restringere la questione del professionismo ed i conseguenti deliberati della Federazione nel ristretto campo di una modalità da istruttoria. Infatti il signor Goetzlof scrive che è mancata una regolare istruttoria e che Fresia non è stato sentito nelle sue difese. E fin qui possiamo anche convenire con lui che sarebbe stato opportuno un contradditorio tra gli accusatori e l’incolpato Fresia, ma, domandiamo noi, è ammissibile che Fresia fosse talmente irreperibile e, oltre che irreperibile, ignaro del giudizio che stava per pronunciare la Federazione, per sottrarsi al contradditorio? Un imputato che abbia il convincimento della propria innocenza non se ne sta passivo ed appartato, ma si agita e si preoccupa per evitare un giudizio che gli può tornare grandemente pregiudizievole.

L’impressione nostra è che Fresia, dopo l’interrogatorio della Commissione d’inchiesta, abbia preferito eclissarsi, e in questa impressione ci conferma la lettera Goetzlof nella quale inutilmente abbiamo ricercato il più piccolo accenno di smentita al professionismo imputata al Fresia. “Date le prove e sentito prima l’imputato” – dice il consigliere federale dimissionario, ma si guarda bene dal negare l’esistenza della colpa.

E la negazione della colpa tornerebbe forse sommamente difficile, perché ci risulta che il prof. Lay, in piena seduta federale, avrebbe proposto di portare il contratto originale Fresia-Genoa Club se la Federazione lo avesse autorizzato a spendere le 300 lire occorrenti per procurarselo.

E allora, perché rimpicciolire la questione e trincerarsi dietro ad un cavillo procedurale se il fatto esiste e se l’esistenza sua che tutti intuivano e di cui tutti sono persuasi, è più che sufficiente per condannare su presunzioni fondate e su testimonianze attendibili? Davanti alla giustizia togata le argomentazioni del signor Goetzlof potrebbero forse, a stretto rigore di diritto, consentirgli una parziale e momentanea vittoria procedurale, ma davanti alla Federazione era inutile prolungare un’istruttoria, che non avrebbe potuto dare convincimenti diversi da quelli profondamente radicati nell’animo dei giudici, e che avrebbe forse degenerato in una inutile disquisizione oratoria fra avvocati, intenti a velare la verità più che a risolvere sportivamente una “vexata quaestio” come è quella del professionismo. E’ prevalsa la logica del buon senso  la Federazione, col suo atto di autorità, si è brutalmente, ma lodevolmente, appoggiata alle leggi dello sport, che sono leggi di azione  non di parole”

 

Quel che è certo è che ormai l’argomento doveva davvero aver fatto presa sugli addetti ai lavori e l’opinione pubblica se ancora il giorno 16 giugno la Gazzetta dello Sport riteneva di concentrare l’attenzione sull’affare Fresia e le sue ripercussioni in un articolo con cui si chiedeva “Dove si arriverà?”

 

“Il caso Fresia, che pare non sia del tutto esaurito e attenda qualche revisione  per vizio di procedura, di forma ecc. continua ad interessare vivamente l’ambiente calcistico. La scintilla ha acceso piccoli focolai dispersi qua e là ed ha riscaldato l’ambiente. Mentre vi è attesa per gli altri annunciati e non meno severi provvedimenti, che vogliamo sperare vengano presi con procedimenti un po’ più persuasivi almeno per il pubblico, ci giungono altre lettere. E siccome l’epistolario è interessante e pare anche istruttivo, ne diamo volentieri comunicazione al pubblico. Noi vogliamo ancora credere che la grave deliberazione presa non sia frutto unicamente di “un nuovo indirizzo di giudizio senza necessità di documenti e di prove materiali, bensì basato solo su quelle morali, cioè sopra una asserita convinzione”. Sarebbe questo un sistema pericoloso, che qualcuno ebbe già a rimproverare pubblicamente e che aprirebbe una lunga serie di ingiustizie di denuncia.

La permanenza più o meno lunga di molti giuocatori stranieri e nazionali in città non di loro abituale residenza è un fatto non morale, anzi spesso apertamente…immorale e di facile controllo ed indagine. Il passaggio di giuocatori da società a società provocati all’ultima ora e dopo qualche attesa benigna delle stesse competizioni nazionali: la strana loro classificazione a giuocatori professionisti coll’impunità o quasi delle società che li hanno ospitati già precedentemente e poi (vedi caso Comte) sono tutti fatti che hanno turbato profondamente l’ambiente calcistico, lo hanno reso dubbioso ed attendono di essere chiariti, di essere messi nella loro vera luce ed in quella della verità. A chi denuncia la Federazione in precedenti deliberazioni aveva fatto obbligo tassativo di comprovare con fatti indiscutibili la veridicità. Gli onesti tutti mentre chiamano a gran voce l’epurazione dell’ambiente, l’uscita da una situazione ambigua e pericolosa, la condotta a fondo di una campagna che potrebbe sovvertire tutto l’ordinamento del mondo calcistico, vogliono anche che le deliberazioni gravi che tagliano netto  o salvano, siano certe, conosciute, convincenti. Giuste. Guai se si infiltrasse il nuovo dubbio della rappresaglia e dello spirito di parte!

E’ poi che siamo favorevoli ad una revisione del processo e che vedremmo minata tutta l’autorità dell’Ente federale, qualora esso, forte della sua serenità e della sua giustizia, si……….. a passare in cassazione un verdetto pronunciato ad unanimità dei voti e di coscienze, desideriamo però che le accuse siano chiare, specifiche e siano anche rese di pubblica ragione. E questo nostro desiderio è un po’ anche quello di tutti coloro che attendono da Torino la continuità di una strada audacemente e noi crediamo serenamente e con profondo senso  di giustizia, iniziata.








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