IL CASO SARDI - SANTAMARIA (8)
Data: 21/12/2015 01.28
Argomento: i quaderni


 

Il caso Sardi - Santamaria.

Il Genoa era dunque ancora alle prese con l’ “affare Fresia” quando Geo Davidson si rese autore di quella che è passata agli annali con la definizione di “fatale distrazione”, espressione che pare coniata appositamente quasi a volerne mitigare le eventuali responsabilità.

 Il nuovo scandalo, che pareva destinato a sconvolgere ulteriormente gli animi giù turbati dei benpensanti paladini del purismo sportivo, trovava ovviamente spazio soprattutto sui giornali sportivi, segnatamente Gazzetta dello Sport e Sport del Popolo, entrambi in data 30 giugno.

La prima, titolando “Due giuocatori della Squadra Nazionale dichiarati professionisti e il Genoa ancora multato”, riferiva della nuova, gravissima deliberazione adottata dalla Federazione calcistica nell’ultima riunione: il Genoa era stato colpito da una nuova multa e due suoi giocatori “che ebbero l’onore e l’onere di vestire la maglia nazionale” erano stati dichiarati colpevoli di atti di professionismo e squalificati per due anni. La F.I.G.C., inoltre, nella stessa seduta aveva negato la revisione del caso Fresia, confermando i provvedimenti già precedentemente adottati.

 

 



 

“Come si vede – commentava il giornale – l’ente federale segue con severità e rigori inappellabili di giudizi una via che si intuisce debba essere ben precisa e definitiva, onde estirpare il male diffuso. Noi, che già indicammo a suo tempo condotte e rimedi da seguire e da applicare, registriamo per ora il nuovo gravissimo fatto, senza avanzare intempestivi e frettolosi commenti”.

 

Seguiva poi il testo del comunicato federale che, per quanto qui riguarda, al punto 3 recitava:

 

Caso Sardi-Santamaria. Il C.F. udita la relazione della Commissione d’indagine sui casi Sardi e Santamaria, e la difesa del Genoa Club, ritiene esaurientemente provati i fatti addebitati ai predetti giuocatori ed al Genoa Club e che cadono sotto la precisa sanzione dell’articolo 8 del regolamento organico, delibera ad unanimità: 1. Dichiarare, come dichiara, i sigg. Sardi Celeste Enrico e Santamaria Aristodemo, soci del Genoa Cricket and F. C., colpevoli di atti di professionismo squalificandoli quindi per 2 anni ciascuno; 2. infliggere, come infligge, al Genoa Club, tenendo conto della recidiva, L. 1000 (mille) di multa per ognuno dei due predetti giuocatori e così in totale L. 2000 (duemila) da pagarsi nel termine di giorni 15 dalla notifica; 3. sottoporre, data la gravità delle risultanze sulla condotta sportiva del Genoa Club, ad apposita assemblea straordinaria dei delegati delle Società da convocarsi per il 13 luglio a Vercelli, la deliberazione di quelle maggiori sanzioni disciplinari contemplate dal comma ultimo dell’articolo 8 e comma 2°, art. 9, regolamento organico precitato.

Il secondo, invece, entrando maggiormente nei dettagli della seduta, informava della presenza di tutti i membri federali ad eccezione di Vieri Goetzlof, dimissionario, e che le gravi deliberazioni furono assunte all’unanimità, a dimostrazione - si sottolineava - che i consiglieri avevano ritenuto completamente provati i fatti che avevano determinato i severi provvedimenti.

 

“Innanzitutto, la Presidenza non ha creduto di accogliere la domanda di revisione avanzata dal Genoa Club per le deliberazioni relative alle punizioni concernenti il caso Fresia, e la cosa è ben comprensibile, ma per i nuovi provvedimenti punitivi la Presidenza ha voluto lasciare la porta aperta alla revisione stessa, deliberando di sottoporre ad una speciale assemblea “la deliberazione di quelle maggiori sanzioni disciplinari contemplate dal regolamento”.

L’assemblea chiamata a deliberare intorno ad eventuali maggiori provvedimenti disciplinari avrà quindi ogni ampia facoltà di investigazione, di discussione e di valutazione delle colpe che la federazione imputa al Club genoano e ai giuocatori Fresia, Sardi e Santamaria. L’assemblea che si terrà a Vercelli il 13 luglio avrà dunque un compito ben grave, perché le sue deliberazioni dovranno suonare approvazione dell’energica azione epurativa iniziata dalla Presidenza federale, oppure sconfessione della Presidenza stessa in quanto l’assemblea ritenesse che le punizioni fossero state applicate ingiustamente.

Tanto che si avveri la prima quanto che dovesse invece prevalere la seconda, è indubitato che a Vercelli i delegati delle società italiane segneranno col loro voto il nuovo indirizzo che dovrà essere impresso al foot.ball in Italia. E i delegati stessi porranno fine, con un voto ponderato, equanime, elevato alle dolorose polemiche sollevate dal provvedimento Fresia, polemiche che tornerebbero di grande nocumento allo sport se non fossero prontamente troncate.

A noi spiace assai che i provvedimenti odierni vengano a gettare una nuova luce poco simpatica di professionismo sul fiorente Club genoano, per la seconda volta colpito in breve volgere di tempo, ma per il progresso ulteriore del giuoco del calcio in Italia è opportuno che le cause di dissolvimento siano al più presto sradicate e puniti i responsabili. A ciò provvederanno i delegati in occasione della prossima assemblea ed il loro giudizio troncherà ogni ulteriore dibattito vano e dannoso, e ridarà alle competizioni footballistiche quel prestigio che, purtroppo, era rimasto in questi ultimi tempi grandemente offuscato”.

 

 

L’ultimo capoverso del comunicato federale, quello cioè relativo alle eventuali “maggiori sanzioni disciplinari” da adottarsi, dà l’esatta percezione della assoluta gravità che la vicenda veniva ad assumere ed il reale pericolo cui il Genoa andava incontro, soprattutto alla luce della situazione di aperta condanna e del movimento di opinione decisamente colpevolista manifestatisi in occasione del recentissimo affare Fresia. Si era venuto creando, e il nuovo fatto gli conferiva ulteriore vigore, un atteggiamento generalizzato ai limiti dell’ostilità che due giorni più tardi, il 2 luglio, la Gazzetta dello Sport ben palesava:

 

Si prosegue sulla via dell’epurazione con coraggio e con calma degne dei migliori encomi. Il pubblico, che già è stato lietamente sorpreso una volta dalla tardiva resipiscenza federale e che ha pure applaudito, non potrà che porgere il suo plauso pieno ed incondizionato a chi frusta a sangue il professionismo nazionale e prosegue nell’opera tracciata con mano ferma.

Si è negata la revisione del caso Fresia, e si è fatto bene, poiché essa come già noi affermammo recisamente, non sarebbe che andata a totale scapito della dignità della Federazione. La sede d’appello non può formarsi se non in seno all’Assemblea generale dei soci, poiché essa è il solo Ente al quale il Consiglio di presidenza deve dar conto dell’operato suo. E noi confidiamo che nella prossima assemblea di Vercelli, il Consiglio federale darà spiegazioni così esaurienti al congresso dei delegati delle Società, da non provocare mai con una completa revisione dei fatti l’aperta disapprovazione all’operato della Federazione. Nella riunione vercellese sono in giuoco le sorti stesse del nostro bel giuoco, e un voto di sfiducia dato al Consiglio federale, segnerebbe il tracollo del foot-ball ed il principio di un periodo convulsionario dal quale le discipline federali ne uscirebbero inesorabilmente compromesse.

Dei casi Fresia, Sardi, Santamaria, la Federazione ha fatto una questione di giustizia e di dignità. Per la giustizia è andata a fondo, portando un secondo e terribile colpo al fiorente club genoano sul quale con non poca colpa, grava nera la sfortuna. Per la dignità sua, la Federazione non deve ancora arrestarsi, ma perseverare nell’opera audacemente iniziata e sbarazzare l’ambiente calcistico italiano d’ogni ostacolo che può frapporsi allo svolgersi completo della vita e dell’attività nazionale. Vi sono attorno ai casi Fresia, Sardi, Santamaria, e a qualcun altro già passato in giudicato ma sul quale la prossima assemblea vorrà ritornare per far luce completa, delle penombre che vogliono essere chiarite, perché i verdetti ultimamente emessi dalla Federazione abbiano i caratteri tutti più belli e sinceri.

Noi non insinuiamo dei dubbi, vogliamo anzi che essi scompaiano totalmente e che accusati ed accusatori si possano guardare bene in viso e vogliano pure che la vita di qualcuno fra i colpiti, che ha trovato ora giudici severi, venga riesaminata tutta, ed anche le responsabilità se esse esistono, siano punite nella stessa misura. Nessuno deve a torto o a ragione ammantarsi nella pietà del perseguitato. Non vi devono essere vittime, non deve perdurare il dubbio di ingiustizie e di persecuzioni. La legge federale sia eguale per tutti e sia pronta e continua e forte. Essa ha già peccato di debolezza, rimpicciolendo il gesto audace in termini amministrativi. La Federazione di fronte al gesto insano di ribellione del Genoa, che tentava opporre al verdetto federale quello dei giudici di tribunale, doveva sentirsi tanto fiera e tanto forte da colpire nella sua stessa vita la Società ribelle. Qualche esempio non le mancava e l’assemblea generale, come già fece altra volta, avrebbe pienamente approvata la condotta della Federazione”.

 

Con queste premesse, è facile capire quale seguito suscitò la vicenda, al punto da essere ormai concordemente ritenuta quella che diede inizio al calcio professionistico. Una vicenda che ha avuto nel tempo varie versioni, che spesso presentano tra loro differenze che non rendono semplice distinguere quella che potrebbe apparire più attinente alla realtà da quella in cui il desiderio di romanzare pare aver forse preso il sopravvento. Quel che è certo è che il caso conservò (e continua a conservare), come ebbe a scrivere Edilio Pesce,

 

“un alone di mistero … fummo anche, in tempi più recenti al fattaccio, depositari di qualche aspetto ultrasegreto di cui non fummo autorizzati a divulgare notizia. Tutto qui…il resto rimane patrimonio di ciascuno anche perché il tempo ha fatto posto ad una benevola coltre di silenzio…cose d’altri tempi che allora fecero scandalo perché era “un’italietta” ancora capace di scandalizzarsi. Confessiamo di aver sempre nutrito un senso di sincera commiserazione per quel signore cassiere di banca il quale si giocò il posto per siffatta vicenda quando poi gli “addetti ai lavori” trovarono un punto di pacificazione…”.

 

Prima di addentrarsi nello specifico esame dello svolgimento dell’Assemblea straordinaria di Vercelli nella quale si celebrò il processo al Genoa più ancora che ai due calciatori, si rendono necessarie alcune precisazioni. Circa lo svolgimento dei fatti, si è fatto cenno all’inizio. Dal loro resoconto quali ci sono arrivati da testimonianze e versioni varie, si può affermare con certezza che la strategia difensiva del Genoa mutò, anche radicalmente, indirizzo quando si fece strada la consapevolezza che l’impostazione iniziale non avrebbe ottenuto alcun credito e anzi probabilmente inasprito ancor più l’animo, già poco incline alla causa rossoblu, di chi era chiamato a giudicare. Manifestandosi compiutamente nell’intervento finale e decisivo di Edoardo Pasteur allorché, abbandonato ogni proposito di convincere l’assise con versioni effettivamente piuttosto ardue da accettarsi, si preferì proporre quella che, partendo da una ammissione di colpa, tendeva a dimostrare come il Genoa fosse stato in definitiva esso stesso vittima di un comportamento inadeguato di un suo consociato che lo aveva messo in condizioni di essere sottoposto a giudizio.

Ma procediamo con ordine, andando a leggere quella che, secondo quanto riferiva Lo Sport del Popolo alla immediata vigilia del processo, e cioè sabato 12 luglio, si pensava sarebbe stata la strategia difensiva del club genoano, che avrebbe potuto trovare un inatteso soccorso in alcune società per motivi peraltro di tutt’altro tenore.

 

“Si dice che il Genoa Club opporrà, appena sarà aperta l’assemblea, la validità di essa. Il Genoa accusato di professionismo, messo sub judice, davanti alle Società italiane, è noto come fondi la sua difesa sullo sbaglio procedurale nel quale sarebbe incorsa la Federazione, coartando la difesa, sorpassando tutte le forme e mettendosi al di sopra di qualsiasi regolamento. Il Genoa si dichiara vittima di tale fretta da parte dei suoi giudici nel condannarlo (sempre secondo l’opinione del vecchio Club genovese) senza attendere le difese e negando dopo ogni revisione: si è calpestata la forma, esso protesta, ma il Consiglio federale ribatte metodicamente: la convinzione vale tutte le forme di questo mondo, discutiamo piuttosto la sostanza.

Ora il Genoa ha per certo ancora una questione di forma per opporre la validità dell’Assemblea straordinaria di Vercelli valendosi di un articolo dello Statuto col quale si dispone che l’Assemblea delle Società sia ordinaria che straordinaria debba essere convocata con preavviso di 15 giorni dalla data stabilita dell’Assemblea. Tale disposizione è sfuggita alla Federazione che non ha osservato la regola dei quindici giorni, inviando gli avvisi solo 8 giorni prima e pensando che l’annunzio dato dai giornali avesse valore di comunicato ufficiale. Avremo quindi – a meno che non vi siano ravvedimenti dell’ultima ora – un inizio combattivo domani a Vercelli, perché il Club genovese sarà seguito nella sua tesi da diverse Società le quali lo appoggeranno…per una ragione perfettamente opposta.

Raccogliamo ancora voci in giro, sempre da buone fonti, s’intende.

Si teme da qualche Società che aspira ad entrare in Prima categoria nel prossimo Campionato, che si cerchi di operare un colpo di mano…o di stato perché l’Assemblea inizi una discussione o uno scambio di idee su quella parte del disegno Valvassori-Faroppa in vigore dall’anno scorso che condanna al passaggio in Seconda categoria quella Società che in ciascun girone regionale sarà restata ultima. Si vorrebbe cioè effettuare un rimaneggiamento del regolamento dei Campionati per tentare il salvataggio di un glorioso Club torinese (ndr. la Juventus) colpito dalla draconiana disposizione.

Non sappiamo se effettivamente sia nell’animo di qualcuno l’idea di tale tentativo; è chiaro però che molti saranno gli oppositori, tra cui prenderà posizione di battaglia una Società torinese (ndr  Piemonte F.C.), i dirigenti della quale dichiarano di avere con sé nel momento decisivo, anche l’altra importante Società torinese (ndr. Torino F.C.) che attualmente gioca in Prima categoria.

Così il Genoa Club, senza chiedere aiuti, si troverà accanto nella lotta alleati imprevisti: anzi pare che non sarà il Club genovese a iniziare la schermaglia, bensì il presidente della Società torinese, il quale sosterrà la questione procedurale (…)”.

 

In effetti, la cronaca dello svolgimento dell’assemblea annota che, appena aperta la seduta, il rappresentante del Piemonte F.C., avv. Lombardi, eccepì la nullità dell’Assemblea, sostenendo che non erano stati diramati in tempo utile gli avvisi di convocazione e osservò che non si sarebbe potuto trattare in quella adunanza di modificazioni statutarie perché ogni deliberazione al riguardo sarebbe stata nulla.

L’ avv. Sarteschi, rappresentante del Novara F.C., si oppose alla pregiudiziale sostenendo come l’unico interessato ad eccepire la nullità fosse il Genoa Club, la cui presenza peraltro sanava l’eventuale irregolarità della convocazione. Poiché Lombardi insistette, venne invitato a presentare una specifica proposta da sottoporre al voto dell’Assemblea. I delegati, a maggioranza, decisero di proseguire la seduta ritenendola valida con la precisazione posta dal presidente, e cioè che si sarebbero adottate deliberazioni definitive solo riguardo alla questione concernente il Genoa, mentre riguardo alle modifiche allo Statuto si sarebbero fatte soltanto delle proposte dirette ad impegnare il Consiglio federale nel senso indicato dall’Assemblea.

Qual’ era, dunque, la difesa del Genoa e dei due calciatori, Sardi e Santamaria come pareva delinearsi da principio?

La Gazzetta dello Sport il 12 luglio usciva pubblicando una lettera a firma Sardi e Santamaria che proponeva la versione dei fatti secondo i due giocatori. La lettera era preceduta da un editoriale a titolo “Un fatto nuovo nel caso Sardi-Santamaria” che ne bollava il contenuto come un palese e “meschino” tentativo di manipolare la verità. Dopo aver precisato che:

 

“Non saremmo tornati sui nuovi e disgraziati casi di professionismo che hanno proiettato tanta cattiva luce sul foot-ball e che hanno offuscato tante belle idealità, se la necessità di mantenerci ligi ad una linea di condotta impostaci fin dall’annuncio dei provvedimenti federali, non ci obbligasse a riparlarne.(…) Avremmo dunque lasciato ben volentieri alla assemblea di domenica (…) di sciogliere i dubbi sugli ultimi provvedimenti federali e sui casi di professionismo che li hanno provocati, se una lettera degli incriminati Sardi e Santamaria alla Federazione ed invocante giustizia, non avesse provocato una piccola inchiesta a Genova e da questa ultima non fossero scaturiti fatti nuovi che contengono e tratteggiano in ambiti ben definiti la nuova questione. (…)

 

 ci si chiedeva se il caso Sardi-Santamaria stesse proprio per entrare in una nuova, imprevista fase. La risposta era una perentoria negazione, così motivata.

 

“Conosciute le difese proposte dagli organi direttivi del Genoa e riportate da alcuni giornali che avrebbero voluto ridurre il lamentato caso di professionismo a una montatura facilmente smontabile, si sono subito levate delle voci che hanno gridato l’allarme contro l’abile equivoco.

Dice il Genoa: “Sardi e Santamaria ritirarono, è vero, agli sportelli della Banca Cooperativa Genovese l’importo di uno chèque di tremila lire all’ordine del signor Davidson, ma la somma non era destinata a loro. Costituiva invece un grazioso cadeau a una Società cittadina che si trovava in ristrettezze. Il signor Davidson, che di questa Società è consigliere, le aveva inviate a un alto ufficiale, suo collega in quel consiglio, perché le impiegasse a pro della restituzione (?). E quell’alto ufficiale aveva incaricato il Sardi e il Santamaria – suoi dipendenti – della riscossione.

Niente altro. Guardate come si scrive la vittoria e come si creano le leggende.

Su questo meschinissimo fatto, architettando con molta buona volontà a servizio di moltissima fantasia, si sarebbero quindi imbastiti processi, indagini inquisitoriali e si sarebbero pronunciate condanne. Ma un colpo di scena si sta preparando per smontare la difesa genoana. Aa questo si riferiscono quelle voci che io vi diceva e che ho voluto appurare. La difesa del Genoa si baserebbe secondo esse su un abile equivoco, nel quale sarebbe ingenuo incappare. Sardi e Santamaria ritirarono 3000 lire dalla Banca Cooperativa Genovese il giorno 3 di giugno. Il giorno 9 il signor Vassallo (erroneamente citato come Vassalli ndr) denunciò il fatto alla Federazione e il giorno 12 il Genoa corse ai ripari. Il signor Davidson inviò altre tremila lire per quell’altro scopo a quell’alto ufficiale tentando così precostituirsi, con la presentazione della ricevuta che questi gli avrebbe rimessa, un alibi verosimile. E si precisa ancora: quell’alto ufficiale è il colonnello Spinelli, comandante del reggimento nel quale i due ex doriani prestavano servizio: la società cittadina è lo Stadium. Insomma: il Genoa si sarebbe servito del colonnello Spinelli e delle ristrettezze dello Stadium per giuocare la Federazione del Calcio. La trappola è invero ben montata ma è pur sempre una trappola. Questa versione, che è qui accolta da molti, sarà proposta domenica al congresso dei delegati della Federazione. E’ il colpo di scena.

Poiché il colonnello Spinelli era apertamente indicato in quelle pubblicazioni e in quelle voci, abbiamo voluto oggi tentare di sapere qualche cosa di più da lui. Ma le nostre insistenze, tendenti ad avere la conferma di quanto a noi era risultato, furono vane. Dolente di essere stato tirato in ballo gratuitamente, il colonnello Spinelli ci ha fatto intendere di voler rimanere completamente estraneo, come lo è stato finora, alla questione.

- Se un consiglio io potessi dare – ci ha soggiunto – questo io darei: si interroghino Sardi e Santamaria. Essi sono due soldati e sanno qual è il loro dovere. Se sono in colpa lo diranno francamente, con quella franchezza che deve essere la prima dote del militare. Ne sono sicuro.

- E se la Federazione venisse nella determinazione di sentir Lei, colonnello?

- Racconterei tutto quello che so della faccenda.

Questa è la via migliore di uscita dall’intricata matassa. Fra il vario tira e molla, la dichiarazione di un uomo d’onore è quella che può dare sicurezza al giudizio. La Federazione dovrebbe farne tesoro. Almeno si avrebbe finalmente la verità.

 

Veniva di seguito resa nota, sotto il titolo “Come si giustificano i colpevoli”, la lettera inviata dai due giocatori alla F.I.G.C. dopo la sentenza che li colpiva.

 

Di ritorno da Roma apprendiamo dalla stampa, con amarezza e dolorosa sorpresa, l’incredibile punizione inflittaci da codesto Consiglio federale, punizione che sappiamo con piena coscienza di non aver meritato. Noi siamo andati (né come militari potevamo non andarvi) a Roma fidandoci delle promesse dei vostri signori Valvassori e Scamoni al signor Goetzlof che la seduta federale in cui si sarebbe discusso il nostro caso era rinviata a giovedì 3 corr., appunto per darci la possibilità di dimostrare la falsità delle accuse mosseci presso di Voi. Anche durante l’inchiesta, in cui i delegati sembravano avere una gran fretta, mentre noi desideravamo spiegare maggiormente certi punti contestati e per cui possediamo delle prove che dimostrano la verità di quanto asserivamo in contestazione al signor Lai, che asseriva vibratamente il falso, ci venne risposto che avremmo potuto spiegarci meglio davanti al Consiglio di Presidenza, e noi fidandoci di ciò più non insistemmo.

Noi perciò protestiamo altamente per non averci dato codesta Presidenza federale modo di difenderci, contrariamente alle vostre promesse; respingiamo le accuse mosseci che, forti delle nostre coscienze e del nostro puro e brillante passato, dichiariamo assolutamente infondate. Ira e malignità hanno fatto reggere accuse false e vergognose ed ottenuto un giudizio iniquo ed ingiusto. Ci si ha colpiti nella schiena;  lo gridiamo forte, e come uomini e come militari domandiamo e vogliamo la rivendicazione del nostro onore. Sfumata l’accusa che si basava su una disgraziata coincidenza, documentatasi perfettamente estranea, siamo partiti per Roma fidenti nella promessa e degli inquisitori e del vicepresidente e del segretario della Federazione, che ci si sarebbe sentiti: invece tutte queste promesse sono sfumate e ci si è condannati a torto basandosi su dei “si dice”; come se l’onore di due galantuomini si potesse così a cuor leggero giudicare ed annientare senza l’ombra di un confronto fra accusatori ed accusati.

Avendo voi signori negata la revisione del caso Fresia non osiamo sperare altra sorte, ma ci auguriamo e vivamente speriamo che almeno all’assemblea del 13 corrente a Vercelli, ci sarà data l’occasione da noi anelata, di discolparci pienamente e di smentire i nostri accusatori se avranno la spudoratezza in nostra presenza di affermare il falso”.

 

Occorre precisare, per meglio comprendere la protesta dei due giocatori che emerge nelle prime righe della loro lettera, che gli stessi non avevano potuto presenziare al processo celebrato in primo grado a Torino il 30 giugno, malgrado la richiesta di spostamento avanzata da Goetzlof, in quanto si erano dovuti recare a Roma per onorare impegni calcistici militari. Al di là dell’accorata e per certi versi indignata perorazione della propria causa da parte dei due giocatori, le motivazioni addotte in propria difesa dal Genoa suscitavano effettivamente perplessità.

E la testimonianza diretta rilasciata parecchi anni più tardi da Aristodemo Santamaria, tratta dal numero unico pubblicato nel dicembre 1967 in occasione del 75° della fondazione del sodalizio rossoblu su come realmente si svolsero i fatti, anziché chiarire, aggiunge altri elementi di incertezza e altri interrogativi in quanto propone un’altra versione ancora.

 

 “Tutti sanno che calcisticamente sono nato nell’Andrea Doria: a sette anni, nel 1899, iniziai a tirare i primi calci, ed in questa Società rimasi fino a vent’anni. Nel 1913 prestavo servizio militare a Genova: in qualità di “Volontario di un anno” avevo ottenuto di scegliere la città dove effettuare il servizio. I “volontari di un anno” avevano appunto questa prerogativa che si otteneva versando la somma di 1600 lire allo Stato. Cifra assai forte a quell’epoca, che era stata raccolta tra i soci della Doria per permettermi di continuare a giocare. Fu appunto in quell’epoca che venni notato da Garbutt, allenatore del Genoa, che segnalò il mio nome al Presidente Davidson. A me, figlio di modesti operai, parve un sogno poter entrare in una squadra che in allora era già ritenuta la migliore e non solo per i giocatori, ma anche per l’ambiente che la circondava di premure: per distinguerla dalle altre la chiamavano, con un certo ironico rispetto, “quella dei colletti”, abbigliamento, per l’epoca, ritenuto signorile. Inoltre, pensate, si viaggiava, nelle trasferte, in seconda classe: tutte le altre squadre, nessuna esclusa, in terza.

Geo Davidson volle, e io fui subito d’accordo, che la cifra raccolta tra i soci della Doria fosse restituita e mi consegnò quel famoso assegno di 1600 lire affinché potessi estinguere il debito sia materialmente che moralmente. Mi recai allora dal prof. Lay, allora Presidente dell’Andrea Doria, che mi ricevette sulla porta di casa, senza farmi entrare, considerando il mio passaggio da una squadra all’altra un tradimento: rifiutò l’assegno, nonostante che in allora il trasferimento ad altra società fosse del tutto libero. Pertanto, Con Enrico Sardi, anche lui nelle mie condizioni, ed anche lui in possesso di un simile assegno, ci recammo in banca ad incassarli: pensavamo che la somma, rifiutata dall’Andrea Doria, fosse di nostra spettanza. Nacque, come molti ricorderanno, il famoso scandalo calcistico dell’epoca (ai giocatori era vietato ricevere denaro in ricompensa delle loro prestazioni sportive).

Questa che vi ho raccontato è l’esatta versione dei fatti: le altre, da qualunque parte provengano, sono prive di fondamento. Sardi ed io migliorammo subito la nostra posizione: acquistammo in Piazza Banchi un negozio di timbri e di questo siamo ancora grati al Genoa che ce ne diede la possibilità. Purtroppo questa versione dei fatti, peraltro esatta, venne accolta con un certo scetticismo alle Assise del Calcio (…)”.

 

Le ultime parole di Santamaria confermano quanto è possibile dedurre dalla lettura dei resoconti giornalistici che accompagnarono all’epoca il processo, dai quali è facile comprendere come questa versione non venne accolta, oltre che in generale dall’opinione pubblica, neppure dall’Assemblea. Né d’altra parte risulta da alcuna testimonianza essa sia stata proposta in quella sede.

A riportarla e presentarla come elemento nodale della difesa dei due giocatori e del Genoa, è Gianni Brera in “Caro Vecchio Balordo”, opera che racconta fatti, vicende, personaggi, aneddoti e quant’altro legati alla storia del Genoa a partire dalla fondazione nel 1893.

 

Delle tante proposte a riguardo degli avvenimenti dell’estate 1913, quella del grande scrittore e giornalista è quasi certamente la ricostruzione più godibile ma probabilmente anche la meno attendibile per quel tanto di irriverente e romanzato che Brera volle conferirle.

 

“I professionisti Sardi e Santamaria, rei di aver accettato un assegno una tantum di ben 1000 lire, gettano il sasso nello stagno di un football che non può più limitarsi al dilettantismo decoubertiniano.”

 

 Nasce uno scandalo che più strano e grottesco non si può. Sui giornali si leggono accuse enormi, perciò ridicole. Qualcuno chiede che il Genoa venga escluso dal campionato e addirittura soppresso, radiato per la cattiva azione. Intanto a Vercelli, città del presidente federale Bozino, viene allestito il processo per simonia pedatoria. Presidente del tribunale lo stesso Bozino; parte civile il presidente della Andrea Doria, Zaccaria Oberti; difensore del Genoa Dadin Pasteur. Il quale regge imperterrito alle bordate di fischi sibilanti da almeno un centinaio di presenti. Parlano pubblici accusatori e buontemponi federali accusando il Genoa di voler rovinare il calcio e lo sport buttando entrambi nella volgarissima rogna professionistica. A gran voce si chiede ancora la radiazione del Genoa dalla famiglia federale. Parla finalmente il nobile Zaccaria Oberti, presidente della Doria, e ricorda le benemerenze del Genoa, prima società calcistica d’Italia, ma insiste perché riceva una punizione esemplare, come i due transfughi prezzolati. Allora si fa avanti Dadin Pasteur e strabilia tutti ammettendo che sì, effettivamente Davidson aveva prestato 1000 lire a Sardi e 1000 lire a Santamaria che disoccupati, avevano intenzione di aprire un negozio di timbri (è dei poeti il fin la maraviglia ma, come si vede, anche dei pragmatici svizzerotti). Accetto scommesse che nessuno al mondo avrebbe trovato una giustificazione più strana e dunque più credibile. L’assemblea, pur tanto ostile, ascoltò intenerita le intenzioni dei due prezzolati e le minacce di Dadin Pasteur, insospettabile paladino della pedata europea: per prepararsi nel calcio – sentenziò Dadin con voce severa e cognita – bisogna allenarsi per delle ore (non dice ancora tutti i giorni): se due poveracci sono disoccupati e senza mezzi, perché negargli la possibilità di svolgere un lavoro redditizio, tale da garantire le calorie necessarie per correre e calciare?

 Il Genoa viene assolto ma non i due vili disertori(!); Geo Davidson deve dare le dimissioni e alla presidenza del Genoa rimane Goetzlof…”.

 

Reso omaggio alla vena istrionica del grande lumbard, questa ricostruzione tale deve restare – cioè un omaggio - in quanto infarcita di inesattezze che l’opera di fantasia può accattivare ma non accreditare.

La versione dei fatti narrata dai due giocatori trovò convinto accoglimento solo sul periodico settimanale Il Calcio, in pubblicazione a Genova, che proprio in occasione del processo in questione uscì il giorno 14 luglio col primo numero, come si può dedurre dal saluto ai lettori a firma del responsabile Raimondo Astillero [1]

Il modo con cui questo periodico approcciò il caso costituì una eccezione nel generale movimento di opinione decisamente colpevolista che si percepiva invece nel resto della stampa. In quel primo numero, infatti, raccolto sotto al titolo “Alla vigilia dell’Assemblea a Vercelli”, si leggeva:

 

“ (…) Altri giornali hanno già trattato a fondo l’affare Fresia, Sardi e Santamaria. Noi, alla vigilia dell’assemblea straordinaria di Vercelli, non intendiamo ripetere quanto è stato già pubblicato dai confratelli. Riassumeremo solo, in poche parole, il nostro giudizio sulla questione.

La Federazione ha certamente errato non dando al Genoa Club e ai tre giuocatori puniti il modo di far sentire personalmente gli argomenti della loro difesa al tribunale giudicante. E’ stato certamente tenuto in non cale l’art. 9 del regolamento organico che prescrive che nessun giuocatore possa essere punito dalla Federazione se non è stato prima sentito.

In secondo luogo, la Federazione, fino a prova contraria, ha elargito multe e squalifiche in base a indizi, per una convinzione personale, senza che sia stata raggiunta la prova evidente degli atti di professionismo. Anche in questo caso, non è stato tenuto in considerazione l’art. 8 dello stesso regolamento organico.

L’Assemblea di domani a Vercelli deve applicare scrupolosamente tale regolamento organico. Se la prova sarà ottenuta, si squalifichino i tre giuocatori e si multi il Genoa Club; ma in base a indizi incerti, su testimonianze smentite da parte di persone interessate, l’assemblea non potrà approvare le gravissime punizioni federali.

Noi che amiamo l’equanimità nello sport, abbiamo fiducia nell’imminente verdetto di Vercelli. Sia esso assolutorio o di condanna, è certo che tale verdetto dovrà essere formulato in modo da non lasciare alcun dubbio sulla sua legittimità.

 Abbiamo pure fiducia che l’assemblea non giunga ai minacciati eccessi. Si è detto che verrà proposta la radiazione del Genoa. Se si radiassero tutti i clubs colpevoli di aver contravvenuto al regolamento organico, si giungerebbe ad un risultato grottesco. Sradichiamo il professionismo, questa mala pianta dei nostri campi di giuoco; ammoniamo i clubs  a seguire una condotta più sportiva; puniamoli se essi violano i regolamenti; ma non si giunga alla rappresaglia contro un unico club, colpevole in passato, ma che può ritornare sulla retta via sportiva”.



[1]  Di Raimondo Astillero, già definito come una delle “penne più irrequiete e graffianti di quel periodo, viene fatta menzione tra l’altro in un articolo apparso nel 2010 sul blog de Il Guerin Sportivo a titolo “Quelli che hanno fatto l’Italia”, con riferimento alla diffusione e nascita dell’idea di una nazionale calcistica. Si legge: “Le principali squadre europee, in testa quelle britanniche, da parecchio tempo si sfidavano in incontri internazionali. Sin dalla fine del 1909, i giornali iniziarono una campagna per giungere ad una Nazionale italiana; in fondo, mancavamo solo noi e la Spagna. Il Guerin non c’era ancora - arriverà “solo” nel 1912 – ma il suo futuro direttore, Giulio Corradino Corradini, insieme ai colleghi Italo Vittorio Brusa e Raimondo Astillero, fu tra i primi ad aderire al sondaggio lanciato dalla Gazzetta dello Sport (…)”.

  Sfortunatamente, pare anche che Astillero fosse dotato di “temperamento fin troppo acceso e sanguigno, quasi indisponente” al punto di non disdegnare il ricorso al duello per sistemare i contrasti e a causa di ciò venne presto messo da parte sino a scomparire dall’ambiente pubblicistico.

 







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