IL CASO SARDI - SANTAMARIA (9)
Data: 22/12/2015 00.24
Argomento: i quaderni


 

 

Il caso Sardi - Santamaria.  (segue)

 

A questa introduzione - perorazione, faceva seguito una parte che rappresenta l’elemento più rilevante delle circa due pagine riservate al fatto, soprattutto in quanto vi appaiono testimonianze di persone né altrove né in altra circostanza citate.

Precisando che “per debito di imparzialità, accogliamo il seguente articolo scrittoci da un membro influente (non citato ndr) del Genoa Club, che sui casi Sardi e Santamaria reca particolari inediti e curiosi”, si presenta il caso “narrato da un genoano”.

 



“Il nostro egregio confratello maggiore Sport di Milano ha già esaurientemente e con grande competenza trattato il caso Fresia e dimostrato che i deliberati della Presidenza Federale contro il Genoa Club appaiono poco convincenti. Noi non ritorneremo sul caso Fresia, già ampiamente trattato su quel giornale; desideriamo invece coordinare i casi Sardi e Santamaria, affinché risulti, più chiaramente ancora, come poco venne rispettato dalla Presidenza Federale il Regolamento organico ed i precedenti.

Martedì 3 giugno, il signor Vassallo, socio dell’Andrea Doria, trovandosi nei locali della Banca Cooperativa Genovese, vide che Sardi e Santamaria in divisa militare riscuotevano uno cheque di L. 3000, firmato e girato Davidson; da ciò a concludere che queste L. 3000 rappresentavano la mercede dei due doriani per il loro passaggio al Genoa fu tutt’uno per il signor Vassallo, che si affrettò a stendere la sua denuncia alla Federazione.

La Commissione d’inchiesta, composta questa volta dal sig. Albertini e anche dal sig. Resegotti, si reca a Genova e, presenti il sig. Lai per la Doria e il sig. Goetzlof per il Genoa, inizia i suoi lavori.

Il primo ad essere interrogato fu Santamaria, che ammise il fatto dello cheque: disse che la somma intiera era stata incassata dal Sardi e che essi avevano ritirato per incarico di un loro superiore, ma che il segreto militare vietava loro di dire di più. Allora venne pregato di dire per quale ragione aveva abbandonato la Doria. Per diverse ragioni, egli rispose, e fra queste perché venne una volta squalificato dalla Doria per un mese. Il sig. Lai fece osservare che tale punizione venne sospesa, mentre Santamaria dichiarò che, in tutti i casi, non venne lasciato giocare una domenica; un’altra volta pure non venne fatto giocare per provare il Fresia, solo che essendosi fatto male ad una gamba tanto che dovette stare circa 10 giorni in infermeria (da notare che la cosa era grave, tanto che il dottore non nascose al povero Santamaria il dubbio che la gamba potesse rimanere irrigidita per sempre!), nessuno si occupò di lui malgrado tutto quanto egli aveva fatto per la Doria; che nel Genoa vi era un trainer che gli avrebbe insegnato a perfezionarsi nel football; che nel Genoa si era assicurati sugli incidenti di giuoco e poi perché il signor Davidson aveva reso l’occupazione in porto dello zio e del padre di Santamaria più redditizia.

Congedato il Santamaria, venne udito il Sardi che confermò pienamente le dichiarazioni precedenti e indicò all’incirca le stesse ragioni per la sua entrata nel Genoa; fra le altre, essendo egli incisore, il signor Davidson gli aveva trovato del lavoro presso diversi gioiellieri di Genova appena esso si fosse congedato dal servizio militare.

Congedato anche il Sardi, viene inteso il signor Davidson sull’affare dello chèque. Trattandosi di cose delicate, egli fa giurare i presenti di mantenere il segreto e allora spiega che tale somma era devoluta per una Società cittadina la quale momentaneamente aveva bisogno di un anticipo da parte del suo consigliere Davidson, incaricato da tempo del finanziamento della Società stessa. Chi pregava di fare tale elargizione era un alto ufficiale, anche lui consigliere, il quale aveva per l’appunto incaricato il Sardi e il Santamaria di fare tale riscossione, giacchè soleva servirsi di loro per altre commissioni, sempre attinenti alla suddetta Società  cittadina. Il signor Davidson produce una lettera di tale ufficiale, confermante il versamento di L. 3000, nella quale lo ringrazia per la sua munificenza.

 

Il signor Davidson dichiara che del resto tale ufficiale è disposto a testimoniare in proposito. La Commissione d’inchiesta ritiene che l’affare dello chèque è abbastanza chiaramente spiegato e vi rinuncia.

Il signor Lai però insiste perché vengano uditi alcuni testimoni, tutti doriani.

Il signor Vassallo conferma pienamente la sua lettera d’accusa.”

 

Lo Sport di Milano, da cui Il Calcio pare aver tratto direttamente, al proposito precisa che sempre questo signor Vassallo affermava che Santamaria aveva depositato 1100 lire alla Cassa di Risparmio: il giocatore – secondo quanto asserito sul giornale – era in grado di dimostrare di averle ricevute da uno zio per l’acquisto di mobili per il suo prossimo matrimonio, ma siccome l’acquisto non avvenne subito Santamaria rimase temporaneamente in possesso della somma.

 

“Il signor Carossino dichiara che Santamaria gli aveva detto un giorno con tristezza di entrare nel Genoa per questioni d’interesse; il signor Carenzo, amico intimo del Santamaria, che questi un giorno in casa del Santamaria stesso gli avrebbe detto di entrare nel Genoa mediante compenso di L. 1500, più L. 200 mensili; la signorina Pendola, che una sera a teatro il Sardi le avrebbe dichiarato di lasciare la Doria per questioni d’interesse; il signor Pendola, che quella sera stessa il Sardi gli disse: “Vado nel Genoa, e i denari sono qui”, battendosi la mano sul portafoglio; la moglie del custode del campo sportivo dell’Andrea Doria, che in pagamento di un paio di scarpe, Sardi le diede un biglietto da cento lire e aveva anche il portafoglio molto gonfio.

Dopo di che si sentì ancora il giuocatore Fava, ala destra dell’Andrea Doria, che dichiara di essere stato chiamato dal signor Davidson che gli offrì L. 1500, più 30 o 40 lire mensili, purché fosse entrato nel Genoa; il signor Goetzlof, quale rappresentante del Genoa, dichiara di ignorare completamente tale fatto ma non crede tale deposizione attendibile, prima di tutto perché il Genoa possiede ancora Eastwood, che gioca ala destra molto meglio del Fava, secondariamente perché il Fava non varrebbe certamente L. 1500”.

 

A proposito di questa testimonianza, vale la pena di riferire pure quanto riportato invece da Lo Sport per alcuni particolari che la rendono più interessante, sia pure fondamentalmente simile nella sostanza.

A parte che qui si parla di 1500 lire subito “ e di 30 o 50 lire mensili”, si specifica che Davidson avrebbe aggiunto:

 

“Tanto  tutti i nostri giuocatori sono pagati, e perciò preferisco parlarle chiaro”.

 

Ma Davidson smentì di aver fatto simili affermazioni e sostenne che fu invece Fava a proporgli di giocare nel Genoa, in cambio appunto di quei compensi. Il doriano, inoltre, si mise a frequentare i locali genoani, facendosi passare per socio, finché non gli fu comunicato che il Genoa non era interessato alle sue prestazioni di calciatore in quanto, come sopra specificato, Goetzlof non stimava

 

“… valere 1500 lire l’abilità calcistica di Fava”.

 

Quanto a Sardi e Santamaria, smentirono pure essi di aver pronunciato le frasi riportate dai testimoni e Sardi obbiettò che si trovò a teatro con padre e figlia Pendola il 1° giugno, ossia quando ancora non si era presentato alla Banca Cooperativa e che perciò, anche nel caso che davvero i denari fossero per lui, non poteva averli nel portafoglio tre giorni prima. Quanto alle 100 lire date alla moglie del custode, gliele aveva prestate Santamaria. Infine, relativamente alla testimonianza del signor Carenzo, la definisce inventata per “risentimenti extra sportivi”

 

Dopo di che la Commissione d’inchiesta informa il sig. Goetzlof che la Federazione avrebbe discusso tali casi sabato 28 giugno. Sardi e Santamaria però comunicano la stessa sera al sig. Goetzlof che non potranno trovarsi a Torino per quella data dovendosi invece recare a Roma per disputarvi i Campionati Militari ed il Genoa Club telegrafa come segue alla Federazione:

 

“Preghiamovi vivissimamente anticipare seduta federale almeno mercoledì, perché imprescindibili doveri militari Sardi Santamaria dovrebbero partire mercoledì per Roma. Tenteremo ottenere proroga 24 ore loro partenza, impossibile di più”.

 

Poi, per maggiore sicurezza, il sig. Goetzlof si reca a Torino martedì 24 giugno, per ottenere di persona sia l’anticipo o la proroga; egli parla con il signor Scamoni e col signor Valvassori, i quali dichiarano che è impossibile anticipare la seduta, ma la fissano invece per martedì 3 luglio per poter udire Sardi e Santamaria. Il signor Goetzlof, di ritorno a Genova, incontra giovedì 26 giugno il signor Lai, il quale gli conferma che la seduta è fissata a giovedì 3 luglio.

Improvvisamente invece giunge venerdì al Genoa Club un telegramma informante che la seduta è fissata per sabato 28 giugno e pregando d’intervenire i signori Davidson, Goetzlof, Sardi e Santamaria. Il signor Goetzlof subito telegrafa venerdì mattina al signor Valvassori come segue:

 

“Riferendomi promesse Scamoni, tue, circa rinvio seduta, preso impegni tali impossibilitano mia venuta domani. Spero vorrete rinviare né giudicherete abbiamo voluto sfuggire giudizio avendovi noi proposto perfino anticipare seduta. Prego telegrafare”.

 

Il signor Valvassori scrive al sig. Goetzlof che

 

“avendo la commissione d’indagini rinunciato ad udire nuovamente Sardi e Santamaria, non vedo perché si debba rinviare la seduta: gli affidamenti che io e Scamoni ti avevamo dato al riguardo miravano appunto a rendere possibile la presenza dei suddetti signori, cessando lo scopo al quale si mirava, dobbiamo lasciare libero corso agli eventi”.

 

Il signor Goetzlof sabato così telegrafava al sig. Valvassori:

 

“Commissione indagine può rinunciare riudire Sardi et Santamaria. Genoa non desidera confronti. Confermo pienamente telegramma precedente”.

 

Anche il Genoa telegrafava, meravigliandosi del cambiamento di data, confermando che

 

“né l’avv. Oppenheim né il sig. Goetzlof potevano recarsi in seduta, avendo preso degli impegni imprescindibili in seguito alle promesse dei signori Valvassori e Scamoni; che gli era materialmente impossibile sostituire efficacemente detti signori, che erano al corrente di tutta la pratica”.

 

Ma la Presidenza Federale non credde opportuno rinviare e invece sentenziò nel modo a tutti noto.

Anche dunque per il caso  Sardi-Santamaria, come già per il caso Fresia, il Regolamento organico venne tenuto in non cale: infatti dice l’ultimo comma dell’art. 9 che

 

“Qualunque provvedimento che interessi i giuocatori non potrà essere assunto dalla Federazione prima di aver sentito il giuocatore medesimo ed averlo invitato a presentare le sue giustificazioni”.

 

Sardi e Santamaria non vennero uditi dalla Presidenza Federale, malgrado durante l’inchiesta, dilungandosi il Sardi a spiegare le ragioni per le quali sarebbe passato al Genoa

 

“venne interrotto da uno dei membri della Commissione stessa dicendo che avrebbe potuto spiegarsi meglio davanti alla Federazione”

 

mentre poi la Commissione stessa rinunciava a riudirli. Si promette mari e monti ma al momento di mantenere, si cicca, come si dice a Genova. Anche qui si odono gli imputati sopra un solo capo d’imputazione e precisamente sull’affare dello cheque, ma non si dà loro modo di spiegarsi sopra quanto hanno affermato gli altri testi, il chè è inaudito.

La Federazione vuole erigersi a Tribunale? Benissimo; ma in tal caso segua almeno le buone norme procedurali e dia facoltà agli imputati di difendersi pienamente. Quindi, contrariamente a quanto ebbe a scrivere l’egregio nostro confratello Sport, il Sardi non potè né smentire né spiegare quanto ebbero a dichiarare il sig. Carenzo e il sig. Carossino. Lasciamo giudicare a quanti non fa velo lo spirito di parte, se è giusto, onesto ed equo condannare due persona senza averle udite in merito, contrariamente a quanto stabilisce il Regolamento Organico.

Aveva forse ragione il signor Carrer (già citata lettera pubblicata su Gazzetta dello Sport del 16 giugno ndr) quando sollevava il dubbio che tutti questi processi fossero una manovra elettorale della Federazione la quale, conoscendo tutti gli errori commessi e il vento di fronda che spirava tra diverse Società, principalmente nel sud d’Italia, ha pensato di allontanare la bufera dal suo capo punendo il primo venuto per poi correre a Vercelli a ripararsi tra le paterne braccia dell’avv. Bozino. E’ inutile poi che i giornali torinesi, a cui rincrescerebbe molto se la sede della Federazione dovesse presto trasvolare da Torino, si affannino ad approvare incondizionatamente quanto la Federazione stessa ha fatto, lodandola per i nuovi sistemi messi in vigore, perché finché vi è uno Statuto ed un Regolamento Organico approvato da un’assemblea generale, nessuno lo può modificare e tutti lo devono rispettare finché in vigore, prima di tutti la Federazione stessa.

Intanto lo Sport del Popolo, per dichiararsi imparziale, scrive che se il Genoa verrà assolto nella prossima assemblea generale, l’attuale presidenza federale dovrà dimettersi. Con ciò s’impressiona l’ambiente e si impressionano, volere o no, i delegati delle Società. La Presidenza federale invece, la cui buona fede non è messa in dubbio, dovrebbe, dato che il Genoa venga assolto, riconoscere di aver errato, senza che ciò menomi per niente la sua dignità. Sotto il titolo “L’altra campana”, lo Sport del Popolo pubblica:

 

“Il Fresia faceva domanda di sussidio all’ Andrea Doria, ma la società sistematicamente glieli ha negati”; vedremo se ciò è esatto, intanto resta sempre la dichiarazione del signor Laviosa, davanti alla Commissione d’indagine, dichiarazione riportata dallo Sport; il giornale torinese avrebbe fatto bene a entrarvi in merito mentre invece prudentemente tace. Lo Sport del Popolo continua “Quale valore ha il diniego del Fresia davanti alla testimonianza di tanti gentiluomini retti e superiori a qualsiasi sospetto?”.

 

Prima di tutto faremo osservare che il Fresia venne messo soltanto a confronto con il sig. Lai, ma non già con gli altri gentiluomini, ed è di ciò appunto che si lagna il Genoa Club.

Passando poi al caso Sardi-Santamaria, lo Sport del Popolo scrive:

 

“Essi confidano a diverse persone di essere passati al Genoa per lucro e adottano lo stesso sistema di Fresia: il diniego, quando la Commissione d’inchiesta arriva a loro”.

 

Ma noi diciamo: come possono essi avere negato, se la Commissione non li interrogò neppure su tali fatti?.

E’ appunto di ciò che tanto Sardi e Santamaria quanto il Genoa si lagnano: che non vennero sentiti né messi a confronto con i Carossino, Pendola, Carenzo, ecc.

E così si scrive la storia.

Al di là del modo in cui davvero si svolsero i fatti, è possibile riscontrare nei vari racconti - non solo quello di Brera - e resoconti giornalistici relativi all’episodio o a situazioni ad esso comunque collegati, affermazioni e riferimenti che suscitano dubbi. Qualcuna anche per la palese incongruità. Su “La leggenda genoana”, 1° volume, nella pagina dedicata all’avvenimento, a titolo “Processati per professionismo”, a proposito di Geo Davidson si legge tra l’altro che

 

“stava mettendo le basi della squadra che avrebbe dominato il dopoguerra ma stava anche attirando l’antipatia dell’opinione pubblica sull’ormai vecchio Genoa. Le mosse di Davidson sul mercato nero dei calciatori stavano facendo rumore. Pochi mesi dopo l’ingaggio di Sardi e Santamaria il presidente genoano riuscirà anche a strappare De Vecchi al Milan, complici alcuni dissapori tra giocatore e società e un mucchio di soldi sottobanco: nonostante i tentativi l’illecito non sarà provato”.

 

Si manifesta intanto una ricostruzione temporale riferita all’ingaggio dei citati giocatori smentita già nello stesso brano, là dove si indica in precedenza come la consegna degli assegni incriminati avvenne il 3 giugno. Il che rende incomprensibile l’affermazione che il terzino della Nazionale venne strappato al Milan mesi, seppure pochi, dopo l’ingaggio di Sardi e Santamaria quando non è assolutamente messo in discussione il fatto che De Vecchi giunse al Genoa nella prima decina di maggio di quel 1913. Ma soprattutto trova conferma la versione comunemente riportata secondo la quale Geo Davidson viene indicato come presidente del Genoa, la quale contrasta apertamente, ad esempio, con quanto asserito da Amedeo Garibotti in “Genoa dietro la facciata”, opera che l’autore (per anni segretario del Genoa) specifica in premessa trattarsi della ricostruzione “della vita societaria desunta dai verbali ufficiali dei Consigli e delle Assemblee, documenti che, dalle origini ai giorni nostri, sono gelosamente custoditi dalla segreteria del sodalizio rossoblu”. Ebbene, secondo quanto appunto desunto dalla citata documentazione, risulta che Geo Davidson subentrò a Luigi Aicardi alla presidenza della Società il 9 ottobre 1913.

Ma la testimonianza in tal senso decisiva che la carica ricoperta da Davidson in seno al Genoa, per quanto rilevante, non fosse quella di presidente, viene direttamente da Pasteur stesso proprio durante il processo a Vercelli, allorché, interrompendo il delegato Sarteschi che aveva appena affermato “Sappiamo che Davidson è vice presidente del Genoa Club”, intervenne per precisare

 

Davidson era prima (cioè all’epoca dei fatti) consigliere, ora è vice presidente soltanto da sei o sette giorni”.[1]

 

Dalla testimonianza più sopra riportata di Santamaria, emergono altri particolari interessanti. Nel mentre pure lui indica Geo Davidson quale presidente del Genoa, chiarisce invece che analoga carica in seno alla Doria era ricoperta dal prof. Lai e non dal cav. Zaccaria Oberti. Se la prima indicazione ricalca, come già notato, un convincimento radicato per quanto errato, la seconda è decisamente sorprendente, in quanto è risaputo che il cav. Oberti fu presidente dell’Andrea Doria dalla fondazione, avvenuta nel 1895, sino al 1920. Se ne dovrebbe anche dedurre, in secondo luogo, che la giustificazione data all’impiego del denaro per avviare un’attività commerciale, non fu il maldestro tentativo quale venne fatto apparire, capace di sollevare anche ironici commenti, ma rispondeva alla verità, come confermato, oltre che dalle parole di Santamaria, dal fatto risaputo che almeno Sardi effettivamente si dedicò a tale esercizio. Da ultimo, le dichiarazioni del giocatore, anziché toglierne, aggiungono un ulteriore dubbio circa l’effettivo ammontare della somma indicata su ciascun assegno: non 1500 né tantomeno 1000 come riportato in taluni resoconti, ma 1600!




[1]  Lo Sport del Popolo, 14 luglio 1913

 







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