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l'opinione"Dalla Cronaca alla Leggenda" (2) di Franco Venturelli
19/04/2005

In una vecchia rivista del 1933, che ho in casa da sempre, è possibile trovare, leggendo tra le righe, i capisaldi di una genoanità delle origini, mirabilmente esposti dallo stesso Presidente del Genoa e dalle maggiori personalità del mondo del calcio e del giornalismo sportivo dell'epoca… (continua)

 


La nascita del Ferraris

Comincerei, anzittutto, col dire chi era Luigi Ferraris, con le parole di Ettore Corsanego, suo contemporaneo:
"Luigi Ferraris dello sportivo era il prototipo per passione, dedizione, costanza; e multiforme era la sua attività, con predilezione per il calcio e gli sports di montagna. Rappresentava il tipo dell'atleta generoso, il cui gioco era basato sulla prestanza fisica, correttamente usata (..) Il suo rendimento era notevole, appunto per la mole del suo lavoro, tanto che fu preso in considerazione, senza peraltro essere prescelto, per la formazione delle prime squadre nazionali."
Corsanego spiega poi come, a causa delle necessità sempre crescenti di allenamenti durante la settimana, Gino (come lo chiama confidenzialmente), che nel frattempo si era laureato in ingegneria e si era impiegato prima alle Officine Elettriche Genovesi e poi alla Pirelli di Milano, dovesse inevitabilmente chiudere col calcio giocato, senza che per questo venisse meno l'attaccamento "al suo Genoa prediletto".
Successivamente ne dà un profilo umano, descrivendolo come:
"appassionato lavoratore e uomo di pensiero: studiosissimo sempre, ed apprezzato cultore di studi matematici e filosofici, distinguendosi in entrambi i campi con scritti geniali e apprezzati".
E questa credo che sia una sorpresa per molti di noi.
Poi, allo scoppio della guerra del '15/'18 Luigi Ferraris, come del resto fece Spensley, andò volontario sotto le armi, rinunciando all'esonero che la sua Ditta aveva chiesto per lui.
Fu ufficiale osservatore d'Artiglieria a Monte Maggio e perse la vita colpito, nei primi mesi di guerra, da un frammento di granata.
Alla sua memoria veniva assegnata una medaglia d'argento.
Corsanego conclude dicendo che:
"La Sua Società, che al suo nome ha dedicato il Campo, lo tramanda con la sua gloria alle generazioni future e nel suo nome si esalta".
In questa precisazione, dove si dice di aver dedicato il Campo a Luigi Ferraris col preciso intento di tramandare il suo nome alle generazioni future, è implicita un'affermazione categorica: "il Ferraris non si tocca!" per stessa volontà di chi ne ha deciso la dedica.
Da queste parole tutti dovrebbero capire che il campo del Genoa non è un campo come tutti gli altri, utile solo per giocare al calcio, ma è qualcosa di più.
Un qualcosa che ha un significato simbolico da tramandare ai posteri.

Ma facciamo adesso un passo indietro di oltre venti anni, e vediamo come davvero sia nato il Campo del Genoa nella zona di Marassi.
C'è un aneddoto che forse pochi conoscono e che, più di ogni altra considerazione, offre un'idea precisa del perché i genoani si sentano così legati al loro Campo.
"Nel 1910 -racconta il dirigente che rievoca, in un apposito capitolo, la storia dei primi quaranta anni- abbandonato San Gottardo, ci trasportavamo sul terreno di Via del Piano. Il nostro fu dapprima un campo piuttosto ristretto, ma tale inconveniente fu appena avvertito che tosto veniva eliminato con l'aggiunta di un altro appezzamento di terreno attiguo, così da permettere pieno respiro."

Ma come venne spianato il terreno per renderlo agibile come campo di calcio?

Ed è qui che ci si trova davanti a un passaggio sorprendente che, personalmente, in tanti anni che leggo di Genoa, non ho mai letto da nessun'altra parte.
"Squadre di soci -afferma il dirigente- si recavano la sera dopo le loro fatiche quotidiane, sul campo e, quando gli operai avevano esaurito la loro giornata, provvedevano a vangar la terra, trasportarla con carrette, schiodare le vecchie tribuna perché potessero essere rimontate in altra parte. E così quello che era un orto pieno di ostacoli e dislivelli veniva trasformato nel primo campo veramente grande e comodo in Italia."

Apprendiamo così, dalla viva voce di chi c'era, che quello che per molti decenni sarà il più bel campo di calcio d'Italia, e che è tuttora il Campo del Genoa, era stato costruito col contributo manuale degli stessi tifosi rossoblù.
Mica male come notizia, vero?
Chi potrà dire adesso, dopo questa testimonianza trascurata da troppi, e per troppi anni, che il Ferraris non appartenga ai genoani, che con le loro stesse mani hanno contribuito a costruirlo?

Franco Venturelli

 



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