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dalla redazioneDella sportività alla moda italiana
06/06/2007

 

Nell'attesa del Napoli, ci viene alla mente il raffronto col simulacro di football che avremmo potuto vedere nel caso che, secondo le speranze, avessimo ottenuto la decisiva vittoria domenica scorsa a Mantova.

 

Questo Genoa-Napoli calamita adesso l'attenzione non soltanto in Italia. La sorte ha voluto porre il nostro stadio al centro di molti sguardi diretti e televisivi.

 

La nostra squadra, qualunque sia l'esito, concluderà il campionato in dignità.

 

 


Avrei preferito anch'io, come tutti voi, entrare al Luigi Ferraris dopo aver già festeggiato.

 

E tuttavia rabbrividivo al pensiero della tentazione di lasciare docilmente il passo agli avversari per contraccambio di una benevolenza usataci una volta a Napoli, in virtù, piuttosto che di amore verso di noi, di odio e sospetto di combine nei riguardi del Milan, maggiormente rappresentativo della settentrionalità.

 

Pensavo già in tal caso ad un appello, ma senza solide speranze, affinché, nonostante quella vicenda a ciascuno indimenticabile, la nostra squadra onorasse gli amici napoletani con l'affrontarli col massimo impegno, dovesse questo sbarrare loro il passaggio.

 

Da tale questione morale siamo stati sollevati. La sportività si fa obbligatoria.

 

Venite, dunque, amici napoletani, qui da noi, a dimostrare la vostra valentia, che suppongo non inferiore alla nostra. E sia leale confronto sportivo.

 

Sono orgoglioso che il Genoa lasci ad altre squadre, titolate o meschine, le partite addomesticate, i pateracchi di comodo, le benevolenze sporche che falsano le classifiche, gli interessi di ricambio, le sospette formazioni di ripiego. Ci sono italiani e sportivi che giudicano e dovranno ricordare. Noi ne usciamo puliti!

 

Così come sono orgoglioso di non aver mai visto, e speriamo di non veder mai, giocatori di maglia rossoblù  "festeggiare" una segnatura facendo trenini, danze africane o recite d'insieme.

 

Noblesse oblige!

 

Siamo il Genoa maestro.  Restiamo Genoa, si vinca o si perda.

 

 

Vittorio Riccadonna

 

 

  



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