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l'opinione''Il Corner'' di Nemesis
23/10/2007

 

Leon è un imprevedibile folletto che si aggira furtivo tra le linee nemiche.

Sconquassa l'ovvio e inventa risposte geniali alle invocazioni di 50.000 occhi ansiosi.

E' un generoso, non solo per l'impegno ma per il culto dello spettacolo che celebra in ogni giocata.

 

 


Dal suo cilindro, profondo come una miniera, escono conigli magici e stelle filanti, e se sbaglia lo si assolve per non aver commesso il fatto.

L'ultima trovata, se pur incatenata dalla geometria, è il suo terrificante metodo per battere i calci d'angolo.

Mi fa tornare in mente gli anni in cui alla Rai, un attore disoccupato fu scelto per declinare le Previsioni del Tempo: ebbene, lui le recitava, le scandiva con voce impostata, e in pratica si ritagliava uno spazio dove lo spazio non c'era.

Oppure Gassman quando, declamando il menù di un ristorante, lo elevava a opera d'arte.

Leon fa lo stesso, e se le contingenze lo limitano a battere un corner, lui lo traduce in un Cavallo di Troia escogitando l'impossibile.

I bravi giocatori devono essere anche furbi e infatti la Roma, che non manca di talenti, sorprende gli avversari con la battuta rapidissima delle palle inattive.

Mentre i difensori si perdono in proteste inutili e placcaggi in area, il cecchino di turno batte a sorpresa e sconvolge i protocolli difensivi.

Anche Barasso, su quella punizione del Bologna, cascò dal pero.

Ebbene, anche i corner di Leon sono diventati un grimaldello malizioso e, finché non si sparge la voce, possono assomigliare a un calcio di rigore.

Se li batte dalla destra sono perfetti, tesi e insidiosi con lo scappellamento a uscire, e il portiere resta indeciso sull'uscio di casa citofonando ai compagni.

Ma è dalla sinistra che il ragazzo disegna parabole irripetibili, e il goal diretto è solo questione di tempo.

Il corner è affascinante già di suo; basti notare l'applauso, il boato e l'incitamento che evoca quando viene conquistato, come se si aprissero scenari impensati e opportunità cospicue.

Il corner agisce sull'immaginario collettivo come l'inaspettato sorriso di una bella donna attizza i sensi e prefigura affascinanti sviluppi, e somiglia a una gonna a fiori scossa dal vento: se cogli l'attimo, ti si può svelare il mistero.

Di fatto è un evento psicologico, perché proietta nella mente un ottimismo esagerato.

Anzi, se ci si pensa non è nient'altro che un semplice cross, uno dei tanti, e per di più con la difesa piazzata e i meccanismi rodati da anni, ma tant'è prevale la voglia di un rimpallo, o una furtiva deviazione, o un De Rosa che ti spunta da Atlantide e scopre l'America.

Il corner è il sabato del villaggio, è una delega in bianco, è voltare la pagina di un libro per scoprire il nome dell'assassino e, mentre la folla trattiene il fiato prigioniera di questa metafora, il pallone sceglie il suo percorso tra i milioni di parabole possibili.

Tutto questo prima di Leon.

Ora, con lui, il corner è una freccia scoccata all'incrocio e, nel peggiore dei casi, genera il panico fra i navigati mestieranti delle difese.

Perfino il dio Buffon, a due minuti dalla fine, è rimasto avvitato sulla riga a contemplare quel meteorite che puntava dritto su di lui, mentre  casuali capocciate simulavano l'impatto del big-bang.

Roba di millimetri, ma se valesse ancora la regola dei giardinetti che dopo tre corner si batte un rigore, Leon rinuncerebbe al penalty per vincere 3-0.

 

Nemesis

 



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